ELENCO PUBBLICAZIONI
1) "REFLUSSO GASTROESOFAGEO IN PORTATORI DI ERNIA IATALE": Comunicazione tenutasi al IV congresso nazionale della S.P.I.G.C. -Perugia 02-04 Mag. 1991.
2) "SORVEGLIANZA DELLE PRECANCEROSI DEL CANALE GASTROENTERICO:ORIENTAMENTI ATTUALI ":Comunicazione tenutasi al IV congresso nazionale della S.P.I.G.C. -Perugia 02\04 Mag.1991.
3) "VARICI RECIDIVE NOSTRA ESPERIENZA ": Comunicazione tenutasi al IV congresso nazionale della S.P.I.G.C -Perugia 02-04 Mag.1991.
4) "LE FISTOLE AORTO-DIGESTIVE QUALE COMPLICANZA DELLA CHIRURGIA PROTESICA DELL'AORTA ADDOMINALE ":Comunicazione tenutasi al V congresso nazionale della S.I.C.G.:Perugia 18-21 Set.1991.
5) "IL VARICOCELE RECIDIVO:VALUTAZIONI DIAGNOSTICHE E TERAPEUTICHE":Comunicazione tenutasi al III congresso internazionale di flebolinfologia -Ferrara \San Marino 18\21 Set.1991.
6)" TECNICA CHIRURGICA DI PREVENZIONE E TRATTAMENTO DEL VARICOCELE RECIDIVO" .Min. Ang.Vol.16-suppl.1al num.2 Apr.Giu.1991.
7) "LA STRATEGIA CHIVA NEL TRATTAMENTO DELLA MALATTIA VARICOSA: NOSTRA ESPERIENZA" :Comunicazione tenutasi alla VIII giornata medico-chirurgica -Morcone 05-06 Ott.1991.
8) "LE PROCEDURE ENDOVASCOLARI NELLE SINDROMI STENOCCLUSIVE DEL DISTRETTO SUCCLAVIO" :Comunicazione tenutasi al 93'' congresso nazionale della S.I.C.-Firenze 15-19 ott.1991.
9) " I BYPASS FEMORO-POPLITEI IN SITU CON VALVULOTOMO DI LE MAITRE' ":Comunicazione tenutasi al 93'' congresso della S.I.C.-Firenze 15-19 ott.1991.
10) "IL TRATTAMENTO MICROCHIRURGICO DEL VARICOCELE RECIDIVO" :Comunicazione tenutasi al V congresso nazionale della S.P.I.G.C. (Ischia 21-23 Mag. 1992).
11) "L'ANGIOPLASTICA LASER ASSISTITA NELLE RECIDIVE STENOCCLUSIVE DELL'ASSE FEMORO-POPLITEO DOPO PTA ": Comunicazione tenutasi al V congresso nazionale della S.P.I.G.C. (Ischia 21-23 Mag. 1992).
12 ) "VARICOCELE RECIDIVO :STUDIO COMPARATIVO STRUMENTALE : VELOCIMETRIA DOPPLER VS FLEBOGRAFIA."Min.Angiol: suppl.2 al vol.16 oct.dic.1991pag.77-9.
13) "FOLLOW UP ULTRASUONOGRAFICO DELLE FISTOLE DIALITICHE" :Min.angiol.suppl.2 al vol 16 oct.-dic.1991 pag 97-8.
14) "PLASMOCITOMA SOLITARIO GASTRICO :RARA LOCALIZZAZIONE DEL PLASMOCITOMA EXTRAMIDOLLARE ." Comunicazione tenutasi al VII congresso nazionale della S.P.I.G.C. Taormina 20-21 Mag. 1994.
15) "L'ISCHEMIA INTESTINALE DOPO CHIRURGIA AORTO-ILIACA" :Comunicazione tenutasi al VII congresso nazionale della S.P.I.G.C. Taormina 20-21 Mag.1994.
16) "LE TROMBOSI VENOSE DA SFORZO DELL'ARTO SUPERIORE ":Comunicazione tenutasi al VII congresso della S.P.I.G.C.Taormina 20-21 Mag. 1994.
17) "MONITORAGGIO STRUMENTALE CON ULTRASUONI DELLE TROMBOSI VENOSE DEGLI ARTI INFERIORI":Comunicazione tenutasi al VII congresso della S.P.I.G.C. -Taormina 20-21 mag:1994.
18) "PLASMOCITOMA SOLITARIO GASTRICO, caso clinico e revisione della letteratura " Min.chir. Vol.49 N.10 pag991-994.
19) "RUOLO DELLA CORREZIONE DEL REFLUSSO SAFENO-PUDENDO NEL RECUPERO FUNZIONALE DEL VARICOCELE RESIDUO ." Suppl. rivista Italiana di ricerche mediche e chirurgiche. Ann.III vol.3 n:1 Dic.1995.
20)“USE OF BIOLOGICAL GLUES FOR THE ARRANGEMENT OF VENOUS AUTOGRAFTS IN LYMPHATIC VESSELS RECONSTUCTIVE MICROSURGERY”. Gastroenterology International (vol . 10, suppl.3 p877-878,1997).
21)THE SURGICAL TREATMENT OF THE VARICOCELE TRADITIONAL VS MININVASIVE SURGERY “ PRELIMINARY DRAFT. Gastroenterology International (vol . 10, suppl.3 p 989,1997).
22)“PREDICTING TECHNICAL DIFFICULTIES IN THE TRADITIONAL SURGERY ON VARICOCELE”. Gastroenterology International (vol . 10, suppl.3 P 991-992,1997).
CORSI DI PERFEZIONAMENTO E CONGRESSI
1) Corso di aggiornamento (complessive 50 ore) "RECENTI AQUISIZIONI IN TEMA DI PATOLOGIA DEL FEGATO E DELLE VIE BILIARI" - Napoli 15\02\ - 02\05\1990 HonorableScientificCoordinator Professor Ton That Tung
2) Corso trimestrale teorico pratico di ultrasuonologia "ECO 90 " - Napoli 13-\02 - 25\05\90 superando l'esame finale.
3) IV corso di aggiornamento interdisciplinare in:" PATOLOGIA INFETTIVA E CHEMIOTERAPIA"-Napoli Gen.-Mag.1990 superando l'esame finale.
4) "CORSO SEMESTRALE DIAGGIORNAMENTO IN MEDICINA D'URGENZA" -Napoli Nov.89-Apr.90 con idoneità all'esame finale.
5) "III CORSO TEORICO-PRATICO DI MICROCHIRURGIA " Università degli Studi di Napoli Federico II 08-12 Apr. 1991.
6) Corso :"ESPERIENZE IN DIRETTA ED IN SALA OPERATORIA DI CHIRURGIA LAPAROSCOPICA " Modena 20-22 Apr. --- 14-15 Ott. 1993.
7) Corso di aggiornamento "TECNICHE DIAGNOSTICHE IN PNEUMOLOGIA " Napoli 16\02-25\05 1993.
8) Corso "GIORNATE MONOTEMATICHE DI CHIRURGIA VIDEOASSISTITA" Napoli Gen.-Giu.1996.
9) Corso teorico-pratico su :"IL DOPPLER AD ONDA CONTINUA NELLA PRATICA AMBULATORIALE " Napoli Apr. Giu. 1996.
10) European Training Course on Basic Experimental Microsurgery of Male Infertility Rome April 21-24 1997: Istituto S. Raffaele per le Tecnologie S.P.A Scientific Director Prof. Giorgio Di Matteo Scientific Coordinators Prof Andrea Ortensi
11)European Training Course on Basic and Advanced Microsurgery Practical Activity 12-16 May 1997 Rome :III Surgical Department University La Sapienza – ROME- Post Graduate School in General Surgery- Vascular Surgery and Microsurgery --- Scientific Director Prof. Giorgio Di Matteo Scientific Coordinators Prof Andrea Ortensi --- Honorable Scientific Coordinator : Prof Sun Lee MD
IV Congresso Nazionale SPIGC
IV Congresso Nazionale
Società Polispecialistica Italiana Dei Giovani Chirurghi
Palazzo Cesaroni
Perugia , 2-4 maggio 1991
Atti Vol II :
Comunicazioni Pag 723-727
Reflusso Gastroesofageo in portatore di Ernia Iatale
Finelli A., Piemonte F. Cioffi L., Coletta S., Amato B.., Persico G.,
Università degli studi di Napoli Federico II
Cattedra di Chirurgia Generale -
VII Divisione di Chirurgia Generale e Microchirurgia
Direttore : Prof: G. Persico Via S.Pansini 5 (80131)
Napoli Tel. 081\7462754
Introduzione
A lungo l’ernia iatale è stata identificata con il reflusso gastroesofageo e ciò erroneamente considerato che numerosi soggetti presentano malattia da reflusso gastroesofageo senza ernia iatale e viceversa numerosi soggetti portatori di ernia iatale non presentano reflusso gastroesofageo. La conoscenza di meccanismi fisiopatologici alla base della malattia da reflusso gastroesofageo è fondamentale per un corretto orientamento terapeutico , soprattutto nei soggetti portatori di ernia iatale , dove è necessario scegliere tra terapia medica e chirurgica.
La nostra esperienza riguarda 13 pazienti con ernia iatale osservati dal gennaio 1989 al gennaio 1991 .
In tali pazienti si raccomanda un accurato studio morfofunzionale basato essenzialmente sull’endoscopia e sul
monitoraggio del PH esofagogastrico nelle 24 ore per porre una corretta indicazione chirurgica.
Materiali e Metodi
Dal gennaio 1989 al gennaio 1991 sono stati osservati 13 pazienti [ 10 uomini e 3 donne] con età media di 37.8 anni , portatori di ernia iatale . Cinque di tali pazienti (38,5%) erano asintomatici e solo occasionalmente erano giunti a conoscenza di essere portatori di ernia iatale . Gli altri 8 pazienti (61,5%) , invece, erano tutti sintomatici ed erano giunti a tale diagnosi nel corso di una esofago gastrografia a cui subito aveva fatto seguito un esame endoscopico per la rilevazione di lesioni della mucosa esofagea associate al reflusso. Sette pazienti, dopo la diagnosi, sono stati sottoposti a terapia medico-dietetica per 8 settimane con H2 antagonisti (ranitidina 300 mg pro die) e gastroeucinetici ( domperidone 30 mg/die) . Solo un paziente , l’ultimo giunto alla nostra osservazione, è stato trattato con omeprazolo e cisapride. Nei cinque pazienti asintomatici , la cui diagnosi era stata sempre fatta occasionalmente nel corso di una endoscopia del tratto digestivo alto per altri motivi [ litiasi biliare] , subito abbiamo ripetuto una gastroscopia per ricercare eventuali lesioni mucose asintomatiche. Nei pazienti sottoposti a terapia medica si è ripetuto il controllo endoscopico dopo 4 ed 8 settimane associando una phmetria esofagogastrica nelle 24 ore. Tale indagine oggi è eseguibile in modo poco indaginoso e ben tollerato dai pazienti usando dei microcateteri con microelettrodi. A tale proposito , segnaliamo l’importanza della rilevazione simultanea del ph esofageo e gastrico per valutare la reale influenza del reflusso sulla mucosa esofagea e l’eventuale presenza di reflusso alcalino in esofago che pure si è dimostrato importante nell’eziopatogenesi della malattia da reflusso gastroesofageo .
RISULTATI
Il controllo endoscopico nei 5 pazienti asintomatici con ernia iatale ha evidenziato lesioni mucose asintomatiche (iperemia mucosa) in un solo paziente ( 20%) . In tale paziente si è subito ricorso ad una ph-metria esofago-gastica nelle 24 ore che ha evidenziato la presenza di oltre 5 episodi di reflusso di durata maggiore di 4 minuti nelle 24 ore. Negli altri pazienti non si è potuto eseguire tale esame per il loro mancato consenso. Anche questo paziente è stato sottoposto a terapia medica per 8 settimane dopodiché si è ripetuto il controllo endoscopico che che ha evidenziato la regressione delle lesioni mucose. Gli 8 pazienti sintomatici sottoposti a terapia medica hanno eseguito un controllo endoscopico prima della terapia medica che evidenziava lesioni mucose solo in 6 pazienti. Tale controllo veniva ripetuto dopo 4 ed 8 settimane di terapia associando il monitoraggio del ph esofago gastrico delle 24 ore. Solo 2 pazienti (1/3) al controllo endoscopico già dopo 4 settimane presentavano regressione delle lesioni mucose. (uno dei due casi era in terapia con omeprazolo). Gli altri 4 pazienti (2/3( non hanno presentato regressione delle lesioni né dopo 4 né dopo 8 settimane ed anche il controllo del ph esofago-gastrico nelle 24 ore non mostrava influenza significativa da parte della terapia medica . Uno di tali pazienti (25%) presentava reflusso alcalino e lieve regressione delle lesioni dopo terapia medica. Per tale ragione questi pazienti sono stati considerati non responders alla terapia medica ed è stata consigliata loro la terapia chirurgica. I due pazienti senza lesioni mucose né sintomatici , già dopo 4 settimane non presentavano sintomi da malattia , tuttavia uno di essi non presentava significative modificazioni nelle alterazioni del tracciato phmetrico delle 24 ore. Anche in questo ultimo paziente, con riserva, si era posta l’indicazione al trattamento chirurgico in previsione della sospensione della terapia medica non accettata dal paziente. Nei 5 pazienti candidati all’intervento è stata eseguita una manometria esofagea che evidenziava una incontinenza dello sfintere esofageo inferiore[LES] in un solo paziente , mentre altri due presentavano quello che la recente letteratura scientifica definisce come inappropriato rilasciamento del LES od incoordinazione motoria del LES la cui rilevazione può essere confermata solo da un esame manometrico eseguito nelle 24 ore , da noi non eseguito per impossibilità tecnica.
CONCLUSIONI
Considerando che i nostri dati riguardano un piccolo campione di pazienti , i risultati vanno considerati al momento con una certa riserva. Comunque il nostro lavoro ribadisce il concetto dell’importanza dello studio morfofunzionale dell’esofago nei pazienti portatori di ernia iatale basato essenzialmente nel monitoraggio endoscopico di eventuali lesioni mucose e sulla conoscenza dei meccanismi fisiopatologici di queste ultime tramite il monitoraggio del ph esofago-gastrico delle 24 ore per porre una corretta indicazione chirurgica. Il nostro studio mette in evidenza anche come non tutti i portatori di ernia iatale siano sintomatici , malgrado la presenza di lesioni mucose e\o reflusso gastroesofageo che richiedono trattamento medico , ed a tale proposito anche in letteratura scientifica esistono perplessità sulle ragioni di tale fenomeno ( Gozzetti). Inoltre , la nostra esperienza mette in evidenza la presenza di pazienti non responders alla terapia medica che sono selezionati con il monitoraggio del ph esofago-gastrico delle 24 ore. La manometria esofagea, malgrado dovrebbe fornire maggiori informazioni sulla efficacia di una eventuale terapia chirurgica ed indirizzare il chirurgo verso la scelta di una adeguata tecnica antireflusso , che nel nostro caso è stata sempre unaemifundoplicatio anteriore secondo Dor , tuttavia nella nostra attuale esperienza non è stata di valido aiuto poiché solo in un caso ha evidenziato una reale discinesia del LES mentre in altri due casi ha evidenziato una discinesia del LES occasionale nonostante la presenza di ernia iatale . Nei restanti due casi non ha messo in evidenza nessuna discinesia a carico dell’esofago. Ciò dimostra come l’ernia iatale può anche non essere associata a discinesia del LES e che lo stesso reflusso gastro-esofageo può non essere associato a tali discinesie. Un monitoraggio manometrico delle 24 ore dell’esofago in futuro potrà darci ulteriori delucidazioni su tale argomento.
Bibliografia
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2. Role of the components of the gastroduodenal contents in experimental acid esophagitis K D Lillemoe, L F Johnson, J W Harmon Surgery1982 Aug;92(2):276-84.
3. Effect of cimetidine on gastric secretion and duodenogastric reflux R J Melville, S I Suleiman, P F Whitfield, J V Parkin, T O Nwabunike, M Hobsley Gut. 1985 Aug;26(8):766-9.
4. Role of the diaphragm in the genesis of lower esophageal sphincter pressure in the cat J T Boyle, S M Altschuler, T E Nixon, D N Tuchman, A I Pack, S Cohen Gastroenterology1985 Mar;88(3):723-30
5.Barrett's esophagus in children: a consequence of chronic gastroesophageal reflux B B Dahms, F C Rothstein Gastroenterology 1984 Feb;86(2):318-23.
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9. Pathophysiology and natural history of acquired short esophagus G Gozzetti, V Pilotti, M Spangaro, F Bassi, W Grigioni, N Carulli, P Loria, V Felice, F Lerro, S Mattioli Surgery 1987 Sep;102(3):507-14
Napoli 21 Luglio 2021
F.to Dr. Alessandro Finelli MD - PhD
IV Congresso Nazionale SPIGC
IV Congresso Nazionale
Società Polispecialistica Italiana Dei Giovani Chirurghi
Atti
Pag 745-748
Sorveglianza delle Precancerosi del Canale Gastroenterico : Orientamenti Attuali
Finelli A., Piemonte F., Cioffi L., Coletta S., Amato B. , Persico G.
Università degli studi di Napoli Federico II
Cattedra di chirurgia generale -
VII Divisione di Chirurgia Generale e Microchirurgia
Direttore : Prof: G. Persico Via S.Pansini 5 (80131) Napoli
Tel. 081\7462754
È da circa un ventennio che si dibatte sulle precancerosi del canale gastroenterico. Oggi la maggior parte degli Autori concordano sulla necessità di una accurata sorveglianza di tali condizioni e\o Lesioni. Bisogna fare una distinzione tra condizioni e lesioni precancerose. Le Prime , infatti, sono tutte quelle situazioni cliniche che , ormai, numerosi studi retrospettivi hanno dimostrato essere associate al cancro del canale gastroenterico alto e\o basso( Esofago di Barrett, stomaco operato , gastrite atrofica, malattie infiammatorie croniche del grosso intestino poliposi adenomatosa…). L’unica Lesione precancerosa , invece, è identificata concordemente da tutti gli Autori, nella Displasia. Tale lesione può coesistere in modo sincrono o metacrono con il Cancro e può ritrovarsi sia in aree di mucosa piatta che in aree interessate da masse da considerare sempre di natura sospetta. Infatti , numerosi studi retrospettivi hanno confermato l’associazione di tale lesione con il cancro e la displasia sembra essere sempre una tappa evolutiva . Da ciò scaturisce l’importanza di adeguate linee-guida in tema di sorveglianza delle condizioni e delle Lesioni del tratto digestivo alto e basso.
1. ESOFAGO DI BARRETT :
Studi retrospettivi e prospettici hanno accertato la esistenza di una correlazione tra tale condizione ( Metaplasia colonnare dell’esofago)ed il cancro dell’Esofago.. Il tutto si svolgerebbe attraverso tappe successive passanti attraverso la displasia esofagea, anche se non necessariamente in tutti i casi.Malgrado molti Autori consigliano la terapia chirurgica di principio in tali pazienti, entro certi limiti di selezione, si raccomanda un controllo endoscopico annuale della lesione eventualmente associato a Brushing e biopsie multiple per evidenziare precocemente una eventuale degenerazione maligna.
2. STOMACO OPERATO, GASTRITE ATROFICA:
anche in tali casi si raccomanda un controllo endoscopico delle condizioni da eseguire ogni anno, soprattutto in quei pazienti con una lunga storia di malattia in cui il rischio di cancro sembra maggiore.
3. MALATTIE INFIAMMATORIE CRONICHE DEL GROSSO INTESTINO:
In tale caso si raccomanda un accurato controllo endoscopico eseguito almeno ogni anno quando la malattia è ben controllata dalla terapia medica ed ha una breve storia. Tali condizioni richiedono molta perizia da parte dell’endoscopista che deve evidenziare, soprattutto nei casi più avanzati di malattia dove i controlli vanno eseguiti più frequentemente, le aree di mucosa più sospette dove è necessario associare accurati prelievi bioptici.
4. POLIPOSI ADENOMATOSA:
rara nel tratto digestivo alto , questa offre seri problemi quando localizzata nel grosso intestino. Essa va distinta , per la sua alta tendenza alla degenerazione maligna, dalla poliposi metaplastica (polipi iperplastici). Da recenti studi scaturisce l’importanza di una accurata osservazione endoscopica anche dei polipi iperplastici coesistenti spesso con quelli adenomatosi. Perciò in tali pazienti conviene associare un clisma opaco per lo studio di quelle regioni del grosso intestino di difficile esplorazione endoscopica; conviene , inoltre , asportare di routine . endoscopicamente. Ogni lesione polipoide associando sempre prelievi bioptici perilesionali.
5. DISPLASIA:
è il vero marker della degenerazione maligna. Se ne distinguono tre gradi : Lieve – moderato Severo.. Spesso tale lesione coesiste in modo sincrono e\o metacrono con il cancro e diversi gradi possono coesistere nella stessa mucosa. Da ciò scaturisce la necessità di uno scrupoloso follow up di tale lesione che richiede molta accuratezza da parte dell’endoscopista e del patologo ai quali è affidata la sorveglianza. Questa consiste in controlli endoscopici accurati associati a prelievi bioptici da eseguire ogni 6-12 mesi in caso di displasia lieve . ogni 3-6 mesi in caso ddi displasia moderata ed ogni tre mesi nelle forme severe a meno che in quest’ultimo caso non si decida di sottoporre il paziente a trattamento chirurgico.
Bibliografia
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2. Hyperplastic colonic polyps as a marker for adenomatous colonic polyps A F Ansher 1, J H Lewis, D E Fleischer, E L Cattau Jr, M J Collen, D A O'Kieffe, L Y Korman, S B Benjamin Am J Gastroenterol 1989 Feb;84(2):113-7.
3. [Surveillance of gastric ulcer and associated lesions] M Di Paola, G D'Ambra, F Consorti Minerva Chir 1987 Oct 15;42(19):1461-3.
4- Colonoscopic surveillance in ulcerative colitis--dysplasia through the looking glass J B Fozard 1, M F Dixon Gut. 1989 Mar;30(3):285-92.
5. Colonoscopic screening of persons with suspected risk factors for colon cancer: II. Past history of colorectal neoplasms. Grossman S, Milos ML, Tekawa IS, Jewell NP.Gastroenterology. 1989 Feb;96(2 Pt 1):299-306.
6. Do all colorectal carcinomas arise in preexisting adenomas? Jass JR.World J Surg. 1989 Jan-Feb;13(1):45-51.
7. Barrett's esophagus: development of dysplasia and adenocarcinoma W Hameeteman 1, G N Tytgat, H J Houthoff, J G van den Tweel Gastroenterology 1989 May;96(5 Pt 1):1249-56.
8. Screening for colorectal cancer: a critical review. Hardcastle JD, Pye G.World J Surg. 1989 Jan-Feb;13(1):38-44.
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10. Surveillance for colonic carcinoma in ulcerative colitis E Rosenstock, R G Farmer, R Petras, M V Sivak Jr, G B Rankin, B H Sullivan Gastroenterology1985 Dec;89(6):1342-6.
11. [The radiologic picture of multiple adenomatosis of the colon: correlation with the natural history] A Severini Minerva Chir1989 Aug 31;44(15-16):1859-60.
12. Gastric dysplasia. A histological follow-up study E P Saraga 1, D Gardiol, J Costa Am J Surg Pathol1987 Oct;11(10):788-96.
Napoli 21 Luglio 2021
F.to Dr. Alessandro Finelli MD - PhD
VII Congresso Nazionale SPIGC
VII Congresso Nazionale
Società Polispecialistica Italiana Dei Giovani Chirurghi
Taormina , 20-21 maggio 1994
Atti
Pag 363-368
L’Ischemia intestinale dopo Chirurgia Aorto Iliaca
A .Finelli.,V. Piscitelli . A. Caiazza ., A Imbriani ., B.Amato , G.Persico,
Università degli studi di Napoli Federico II
Cattedra di Chirurgia Generale -
VII Divisione di Chirurgia Generale e Microchirurgia
Direttore : Prof: G. Persico Via S.Pansini 5 (80131)
Napoli Tel. 081\7462754
Riassunto
Gli autori riportano la loro esperienza relativa ad una rara ma subdola complicanza della chirurgia aorto-iliaca quale è l’ischemia intestinale. Dal gennaio 1990 al gennaio 1994 presso la nostra divisione sono stati seguiti circa 300 interventi sull’asse aorto iliaco per patologia aneurismatica e\od ostruttiva. In quattro pazienti (1.3%) operati si è verificata nel decorso postoperatorio complicanza ischemica a carico del circolo splancnico. Tale esperienza induce gli autori a raccomandare una attenta valutazione peri ed intraoperatoria dei pazienti candidati alla chirurgia aorto iliaca al fine di prevenire tale complicanza di difficile inquadramento diagnostico e che d’altro canto richiede un tempestivo trattamento.
Introduzione
La chirurgia dell’asse aorto iliaco rappresenta un insidioso campo di prova per il chirurgo che si ritrova spesso ad operare pazienti che presentano grandi problematiche cliniche di ordine generale e\o locali (ATS polidistrettuale , turbe del metabolismo glucidico e\o lipidico , aneurismi rotti o fissurati , tromboembolie in pazienti cardioaritmici etc..) Si capisce che la gestione di tali pazienti richiede un approccio multidisciplinare in ambiente altamente specializzato. L’ischemia intestinale rappresenta una delle più temibili complicanze precoci e1o tardive di tale chirurgia per il suo esordio clinico subdolo in contrasto con la necessità di un rapido inquadramento diagnostico- terapeutico. La identificazione preoperatoria dei pazienti ad alto rischio di tale complicanza ed una attenta valutazione clinico-strumentale intraoperatoria dell’irrorazione splancnica rappresentano i più validi accorgimenti preventivi. Quando il decorso postoperatorio si presenta irregolare (dolore addominale con prolungato ileo paralitico) al minimo sospetto clinico non bisogna esitare nell’esecuzione di un esame angiografico e\o una esplorazione laparoscopica per scongiurare il realizzarsi di tale complicanza chirurgica .
Materiali e Metodi
Dal gennaio 1990 al gennaio 1994 presso il nostro istituto sono stati seguiti ed osservati circa trecento interventi sull’asse aorto –iliaco per patologie ateromasiche e\o ostruttive. Tutti i pazienti sono stati trattati in elezione previa accurata valutazione dello stato generale di salute con particolare riguardo verso la funzionalità dell’apparato cardiocircolatorio (ecodoppler TSA, ECG statico e dinamico, velocimetria doppler arti inferiori , esame angiografico , TAC addominopelvica) Intraoperatoriamente sia quando si trattava di interventi interventi di rivascolarizzazione diretta che indiretta si è sempre ricorsi alla valutazione clinico – strumentale dello stato morfofunzionale del circolo splancnico ( ricerca di lesioni steno-ostruttive a carico dei vasi mesenterici ed ipogastrici, valutazione del compenso emodinamico da parte di circoli collaterali splancnici : arcata di RIOLANO – arcata di DRUMMOND - circoli ipogastrici) ricorrendo anche alla velocimetria doppler intraoperatoria con sonda sterile (5). Malgrado tali misure profilattiche gli autori riportano quattro casi di ischemia intestinale dopo chirurgia aorto –iliaca. I quattro pazienti erano tutti di sesso maschile con età media di 60.7 anni /range51-67 anni); due di essi sono stati operati per AAA ( Aneurisma Aorta Addominale) sottorenale di aneurismectomia con by pass aorto –bifemorale ; il terzo paziente è stato operato per AAA sottorenale ed AOAI( arteriopatia ostruttiva arti inferiori) da trombosi dell’arteria iliaca comune di sinistra e dell’iliaca esterna di destra , di aneurismectomia con by –pass aorto bifemorale; infine il quarto paziente affetto da AOAI con trombosi dell’iliaca comune di sinistra ed ipogastrica di destra fu sottoposto ad intervento di TEA della iliaca comune di sinistra . Nei due pazienti operati di AAA per via addominale previa valutazione di compenso splancnico dopo clampaggio dell’arteria mesenterica inferiore si procedeva alla sua legatura. In entrambi i pazienti il decorso postoperatorio si presentò con un prolungato ileo paralitico associato a dolore addominale; il tempo di clampaggio aortico non aveva mai superato i 30 minuti per cui non si diede inizialmente importanza al decorso postoperatorio. Purtroppo uno dei due pazienti dopo 72 ore andava in IRA [ insufficienza renale acuta da necrosi tubulare] e stato di shock ; sottoposto a laparoscopia diagnostica si osservò l’ischemia di un vasto tratto di anse ileali e del cieco per cui si eseguì un reintervento di resezione ileale terminale ed emicolectomia destra con doppia stomia dei monconi. Dopo l’intervento il paziente fu sottoposto ad emodialisi , in ottava giornata dopo l’intervento è deceduto per erresto cardio- circolatorio acuto. Il secondo paziente operato di AAA presentò dolore addominale nel postoperatorio con un ileo paralitico prolungato fino alla terza giornata dopodichè comparve detensione addominale meteorica ed enterorragia. Sottoposto ad esame colonscopico si evidenziò una colite ischemica di grado lieve ( interessamento della sola mucosa) che fortunatamente si risolse senza necessità di intervento chirurgico. Nel paziente operato di by-pass aorto bifemorale per AAA ed AOAI si constatò intraoperatoriamente soltanto l’ostruzione dell’arteria mesenterica inferiore con buon compenso emodinamico da parte dei circoli collaterali. Tale paziente ebbe un buon decorso postoperatorio e venne dimesso in ottava giornata. Dieci giorni dopo la dimissione si presentò ala nostra osservazione lamentando disturbi dispeptici con dolori addominali; eseguiti gli esami di laboratorio di routine si constatò un lieve aumento degli enzimi di citonecrosi (LDH-CPK-GOT) con leucocitosi neutrofila ; il tracciato ECGrafico era nella norma per cui si pose diagnosi di ischemia intestinale . Eseguita di urgenza una angiografia si evidenziò una trombosi dell’arteria mesenterica superiore . Operato il paziente fu sottoposto ad una TEA dell’arteria splancnica e resezione anastomosi di circa 30 cm di ileo. Malgrado il paziente fosse stato sottoposto ad un intervento di chirurgia vascolare e resezione intestinale contemporaneamente , il decorso postoperatorio fu buono ed il paziente fu dimesso chirurgicamente guarito. Il quarto paziente fu operato di TEA dell’arteria iliaca comune sinistra per via extraperitoneale per cui ci si aspettava un regolare decorso clinico postoperatorio. Invece il paziente 18 ore dopo l’intervento presentava un quadro addominale caratterizzato da dolore , distensione meteorica e discanalizzazione con enterorragia. Subito fu sottoposto ad esame colonscopico ed angiografico che evidenziavano un quadro di colite ischemica sostenuta da una trombosi dell’arteria mesenterica inferiore e dei vasi ipogastrici. Veniva pertanto eseguita laparotomia con resezione colica sinistra , affondamento del moncone rettale sec. Hartmann e colostomia su trasverso. Malgrado un travagliato decorso postoperatorio il paziente viene dimesso dopo un mese e nove mesi dopo tornò per la riconversione dell’Hartmann, ancora oggi egli gode di buona salute .
RISULTATI
Gli autori nella loro esperienza relativa al periodo dal gennaio 1990 al gennaio 1994 riportano su un campione di osservazione di 300 interventi eseguiti sull’asse aorto iliaco una incidenza cumulativa dell’1,3& di complicanze ischemiche intestinali (4 casi). Tale complicanza si è verificata malgrado il rispetto di quelle misure profilattiche pre ed intraoperatorie come prospettato da vari autori in letteratura (2-5). Tuttavia la mortalità in tale tipo di complicanza è stata abbastanza bassa( 1 caso=25%) considerando i casi riportati in letteratura (1-3-7) dove la mortalità si aggira intorno al 75 % dei casi ; comunque c’è da considerare che ci si riferisce ad un campione di studio alquanto esiguo ( 4 pazienti). Tale dato statistico è certamente da riferire al rapido inquadramento diagnostico della complicanza ed al precoce intervento terapeutico adottato nei suoi confronti ;
[di contro ad astensionismi spesso fatali di vigile attesa aggravati da inescusabili omissioni nell’approccio resettivo e dunque aggressivo della temibile complicanza – Finelli A ----2021 ----].
CONCLUSIONI
L’ischemia intestinale dopo chirurgia dell’asse aorto iliaco è una minaccia che incombe su tali pazienti e deve sempre essere sospettata quando il decorso postoperatorio si presenta irregolare (prolungarsi dell’ileo paralitico, dolori addominali con emorragia digestiva). In tali casi gli autori propendono per un atteggiamento diagnostico interventistico rapido ed invasivo (es.angiografici selettivi, laparoscopia, endoscopia , laparotomia esplorativa) ) [5-6] al fine di giungere alla diagnosi in tempo utile per poter eseguire un intervento terapeutico prognosticamente favorevole. Gli autori di contro non ritengono giustificato un invasivo studio angiografico selettivo dei vasi splancnici preoperatoriamente nei pazienti candidati atale tipo di chirurgia considerando la possibilità di adottare quelle misure profilattiche pre ed intraoperatorie come auspicato in letteratura (5-8). Tuttavia nella nostra esperienza tali misure non hanno modificato in modo significativo l’incidenza di tali complicanze perciò si consiglia una angiografia selettiva dei vasi splancnici in casi selezionati secondo criteri clinici ( pazienti con pregressa storia di angina addominale ; infarto intestinale, IMA , AOAIcon deficit di flusso delle aa. Ipogastriche) in previsione di un eventuale reimpianto dell’arteria mesenterica inferiore sulla protesi aortica con tecnica microchirurgica (8-9).
Bibliografia
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Napoli 21 Luglio 2021
F.to Dr. Alessandro Finelli MD - PhD
All Rights Reserved
Memorie in Chirurgia
V Congresso Nazionale SPIGC Ischia [ NA]
21-23 maggio 1992
Terapia Chirurgica delle Recidive
Atti Parte II
L’ Angioplastica Laser assistita nelle recidive steno-occlusive dell’asse femoro-popliteo dopo PTA
Finelli A. MD ; Piemonte F. MD; Schipani A. MD + ; Flora L. MD; Amato B. MD; Iaccarino V. MD – PhD ; Persico G.+ Prof. MD – PhD .
Università degli Studi di Napoli Federico II
II Facoltà di Medicina e Chirurgia
VII Divisione di Chirurgia Generale e Microchirugia
Direttore Prof. Giovanni Persico
Introduzione
Nel 1964 Dotter e Judkins [1] introdussero l’angioplastica percutanea Transluminale (PTA) nel trattamento delle lesioni steno-ostruttive vascolari. Solo dieci anni dopo con Gruntzing [2] la scuola tedesca introdusse i cateteri con palloncino che posizionati preso le stenosi e gonfiati a pressioni di 6-20 atm per un minuto permettono la dilatazione del lume vasale . Limiti alla esecuzione di tale trattamento sono le stenosi multiple e segmentarie con lunghezza maggiore di 7 cm. Tale metodica trova le sue indicazioni nelle lesioni ateromasiche del distretto coronarico ma le maggiori percentuali di successo si ottengono nel distretto iliaco-femorale ( 95%) . Purtroppo bisogna , anche per quest’ultimo distretto , registrare una alta percentuale di restenosi precoci e recidive (30%) che sono tanto più frequenti quanto più estese e numerose sono le stenosi (10% nelle stenosi uniche contro il 50% per le stenosi multiple e di lunghezza maggiore di 7 cm.). Negli anni 80 da Lee [ 3-4] e Choy [5] fu introdotta in Chirurgia Vascolare lìangioplastica Laser in forma sperimentale ; in vero i primi studi sul trattamento Laser delle lesioni ateromasiche risalgono a Mac Gulf (1963) [6] .
Nel 1965 Cumberland introdice nella pratica clinica la PTLA per il trattamento delle lesioni ateromasiche delle arterie periferiche [7-8-9] usando per la prima volta cateteri a punta metallica [Hot Tip] applicati ad una fonte Laser del tipo Nd : YAG ( Neodimio = granato di Ittrio -–alluminio) . Contemporaneamente anche Choy usciva dalla fase sperimentale per entrare nella fase clinica col trattamento delle stenosi coronariche tramite PTLA [10] . A lungo la PTLA è stata eseguita sotto guida radioscopica ma poi di recente c’è la posibilità di eseguirla sotto visione diretta angioscopica come proposto da Ginsburg [11-12]. Negli Ultimi anni si è assistito piuttosto che ad una evoluzione clinico – sperimentale ad uno sviluppo dell’aspetto tecnologico della metodica. Si è passato dall’uso dei cateteri a punta nuda o sferica di silicio apllicati ad Argon Laser con onda continua ed azione fototermica ( vaporizzazione della placca = Laser Angioplastica) all’uso di cateteri con palloncino a punta metallica incandescente (Hot Tip) od allo Zaffiro collegati al Laser a Neodimio ( Nd:YAG) o ad eccimeri con onda pulsata ad azione fotochimica ( ablazione termica tessutale + PTA ) allo scopo di ridurre la incidenza delle complicanze che possono far seguito a tale procedura : Perforazioni , restenosi precoci , embolie periferiche . Gli Autori riportano la loro esperienza relativa a 36 pazienti con arteriopatia cronica ostruttiva agli arti inferiori già sottoposti in precedenza a PTA i quali per il sopravvenire di una recidiva steno-ostruttiva sono stati sottoposti ad una PTLA .
Materiali e Metodi
Dal Gennaio 1989 al dicembre 1991 gli Autori hanno selezionato 68 pazienti per un totale di 73 arti con arteriopatia cronica ostruttiva agli arti inferiori indirizzandoli verso il trattamento con PTLA. I criteri di selezione riguardano le caratteristiche delle della lesione ( preferibilmente uniche di diametro inferiore a 7-10 cm. Asse iliaco femoro-popliteo ) e le condizioni cliniche del paziente ( alto rischio chirurgico , II stadio di Fontaine) . Trentasei pazienti (52,9%) : 34 uomini e 2 donne di età media di 60.3 anni ( range 46-76 anni) avevano ricevuto precedentemente da almeno 12 mesi una PTA per cui dagli Autori sono stati considerati quali recidive della metodica e non quale insuccesso della stessa . Tutti i pazienti avevano una ostruzione monolaterale ( 36 art = 49.3&)della lunghezza media di 6 cm [ min. 2 cm – max 12 cm.) dell’asse femoro –popliteo. La fonte Laser adoperata è stata un Nd= YAG laser ad onda continua mentre i cateteri adoperati sono stati in 34 casi (94,4&) le olive metalliche incandescenti del diametro di 2,2 mm (HOT TIPS ) , mentre negli ultimi 2 casi ( 5,6%) trattati si è usufruito di cateteri a punta di Zaffiro con Laser ad onda pulsata .
I vantaggi dell’Uso di cateteri a punta di Zaffiro con una fonte laser ad eccimeri ad onda pulsata sono quelli che si riduce il rischio di perforazione legati all’insulto termico ( con laser ad onda pulsata e con i cateteri a punta di zaffiro si ottiene un effetto fotoablativo con danno tessutale nullo) e meccanico che la metodica può comportare. Tutti i cateteri erano dotati di palloncino cosicchè dopo la disostruzione laser si è potuto procedere a PTA ovviando al principale inconveniente di questa ultima e cioè il recupero volumetrico del vaso stenotico od ostruito. L’intera procedura veniva eseguita sotto guida fluoroscopica in anestesia locale ad a cielo coperto in 4 pazienti ( 11%) ed in anestesia peridurale ed a cielo aperto ( preparazione chirurgica della Femorale comune o superficiale) in 32 pazienti (89%) . Dopo la introduzione della sonda laser con tentativo di disostruzione meccanica della lesione si è proceduto all’attivazione laser nel seguente modo
HOT TIPS = CW 15 W 5-10 sec.
Zaffiro = PW 15 W , 1-2 sec.
Al raffreddamento faceva seguito un controllo angiografico e quindi una PTA di completamento . I pazienti venivano seguiti con un follow-up clinico strumentale [ velocimetria doppler] a 3-6-12 mesi.
Risultati
Il successo completo si è ottenuto in 26 arti (72,2%) con pazienti con soddisfacenti consizioni all’iniziale follow-up clinico strumentale. Risultati non soddisfacenti si sono avuti in 10 pazienti (27,8%) ed in 7 di questi si è potuto ricorrere ad un by –pass femoro popliteo. L’insuccesso tecnico si è avuto in 4 pazienti (11%) , di questi 1 (25%) aveva ricevuto il trattamento per via angioradiologica; in tutti questi casi è stato possibile ricorrere a by pass femoro popliteo . In 1 paziente ( 2.7%) trattato anche lui con tecnica angioradiologica si è avuto la perforazione della poplitea nel tratto sopragenicolato che ha richiesto l’intervento di Urgenza , infine embolizzazioni distali si sono avute in 2 pazienti (5.5&) mentre gli altri 3 pazienti (8.3%) sono andati incontro a riocclusioni acute ; tutti questi avevano ricevuto il trattamento a cielo scoperto , comunque anche nei tre casi di riocclusione si è potuto procedere ad un By–Pass femoro popliteo.
Conclusioni
Gli Autori riportano da pionieri della materia la loro iniziale esperienza relativa a tale procedura innovativa che tende sempre più al perfezionamento tecnico in chirurgia vascolare. In realtà dopo gli iniziali entusiasmi l’importanza del Laser in Chirurgia Vascolare si era un po’ sminuita per i frequenti insuccessi. Comunque gli Autori ribadiscono il concetto essenziale della selezione dei pazienti da indirizzare verso tale trattamento , selezione che deve considerare le caratteristiche della lesione da trattare senza superare quelli che sono ancora gli attuali limiti della metodica e sfociare così nello sconforto degli insuccessi. Si evidenzia inoltre la necessità di una ulteriore evoluzione tecnologica della metodica per migliorare qualitativamente i suoi risultati che a lungo termine sembrano dipendere dalla risposta del vaso al trattamento locale della procedura. Quindi ogni chirurgo non deve trascurare tale possibilità terapeutica che la moderna tecnologia gli offre , soprattutto se si considera che un eventuale insuccesso nel più dei casi non pregiudica trattamenti alternativi quale può essere la stessa Chirurgia vascolare tradizionale.
Per concludere il buon chirurgo vascolare in futuro deve sperare di usufruire nella sua sala operatoria del laser per migliorare la qualità dei suoi interventi ed allargare le indicazioni degli stessi.
Riassunto
Dal gennaio 1989 al dicembre 1991 sono stati selezionati e sottoposti ad angioplastica laser assistita (PTLA) 68 pazienti con arteriopatia cronica ostruttiva agli arti inferiori sostenuta da lesioni ateromasiche dell’asse iliaco femoro-popliteo . Trentasei di tali pazienti erano giunti alla nostra osservazione dopo essere stati precedentemente sottoposti ad una semplice PTA . Gli Autori dunque presentano la loro esperienza relativa a tale recente tipo di trattamento evidenziando la necessità di una accurata selezione dei pazienti e la possibilità da parte del chirurgo vascolare di usufruire di una innovazione tecnologica che può rendere più efficace e meno invasivo il suo Atto Operatorio.
Bibliografia
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Napoli 7 Aprile 2021
Testo Riveduto e Corretto
Dr. Alessandro Finelli MD - PhD
V Congresso Nazionale SPIGC
Ischia [ NA] 21-23 maggio 1992
Terapia Chirurgica delle Recidive
Atti Parte II
Il trattamento microchirurgico del Varicocele Recidivo
Finelli A. MD ; Mandia C.. MD; Darretta G ; Amato B. MD; Persico G.+Prof. MD – PhD .
Università degli Studi di Napoli Federico II
II Facoltà di Medicina e Chirurgia
VII Divisione di Chirurgia Generale e Microchirugia
Direttore Prof. Giovanni Persico
Introduzione
Il trattamento microchirurgico è stato proposto per la la prima volta negli anni 70 [1]; soltanto negli anni 80, dopo gli studi flebografici di Coolsaet [ 2] che hanno fatto luce sulla complessità del drenaggio venoso testicolare ed hanno chiarito le alterazioni anatomo funzionali alla base del varicocele permettendone una classificazione ancora valida, molti autori [3—4-5-6]di estrazione chirurgica hanno riproposto tale tipo di trattamento apportandone innovazioni tecniche che ancora oggi sono suscettibili di ulteriori modificazioni , come proposto dagli stessi autori [7-8]per migliorarne il risultato funzionale e dunque terapeutico.
Materiali e Metodi
Trentotto pazienti affetti da varicocele idiopatico recidivo sx di età compresa tra i 15 ed i 27 anni sono giunti alla nostra osservazione tra il settembre ’87 ed il mese di dicembre ’91.Tutti i pazienti rientravano in un programma di studio che prevedeva un follow-up clinico-strumentale e laboratoristico a 3-6-12 mesi dopo l’intervento chirurgico eseguito in prima istanza, che in tutti i casi era consistito nella legatura alta della vena spermatica interna secondo tecnica convenzionale [9-10]con infusione di atoxisclerol al 2% nel moncone prossimale della stessa vena.
Il controllo laboratoristico prevedeva l’esecuzione di uno spermiogramma con spermiocoltura ed il dosaggio dell’FSH – Lh [ ICSH] – Testosterone.per escludere una ipofertilità maschile da cause infettive e\o endocrinologiche.
I controlli clinico strumentali prevedevano l’esecuzione di un esame velocimetrico doppler dei vasi inguino-scrotali che in 13 pazienti (34,2%) evidenziava una insufficienza dell’ostio safeno femorale senza reflusso spermatico testicolare.
Negli altri casi [ 25 pazienti = 65,8% ] la persistenza del reflusso spermatico testicolare all’esame velocimetrico induceva ad eseguire un esame flebografico per classificare il tipo di varicocele ed orientare la scelta tecnica da adottare per la correzione emodinamica dell’alterato drenaggio venoso testicolare. In 9 pazienti (36%) la recidiva era sostenuta da un persistente nutcracker alto ( vene spermatiche interne accessorie e\o collateralità ) e dunque trattandosi di un varicocele di tipo i è stata eseguita una derivazione safenopampiniforme come proposto da Fox e Persico ( 3-4-5).
Gli altri 16 pazienti (64%) sulla scorta dei rilievi flebografici sono stati classificati come varicoceli di tipo III secondo Coolsaet [ nutcracker alto e basso) ; pertanto in tali pazienti si è ricorsi ad una derivazione microchirurgica T-L tra la vena spermatica interna e la epigastrica inferiore previa legatura di questa ultima a monte dello sbocco della spermatica esterna (Belgrano modificata sec. Persico–Finelli con anastomosi a T antirelusso) .
In 12 dei 13 pazienti in cui la velocimetria aveva evidenziato un isolato reflusso safenico si è proceduto alla correzione dell’insufficienza ostiale safeno femorale in anestesia locale sec tecnica C.H.I.V.A. (11)
Risultati
Nei 12 pazienti (34.2%) con varicocele recidivo sostenuto da un reflusso safenoscrotale ; evidenziato con il solo esame velocimetrico e trattato con tecnica C.H.I.V.A. dopo la terapia chirurgica si è assistito ad un miglioramento significativo dello spermiogramma.
I pazienti sottoposti a derivazione safeno-pampiniforme (9pz=36%) ai controlli clinico– strumentali (velocimetria doppler)eseguiti a 6 e 12 mesi , presentavano un perfetto funzionamento delle microanastomosi con significativo miglioramento dello spermiogramma.
Anche i 16 pazienti (64%) sottoposti a derivazione spermatico –epigastrica ai controlli clinico strumentali presentavano un miglioramento tuttavia in 2 di essi (12,5%9 lo spermiogramma non è migliorato in maniera significativa.
Conclusioni
Gli Autori riportano la loro esperienza relativa al trattamento microchirurgico del varicocele recidivo.
Quest’ultimo rappresenta una delle principali indicazioni alla risoluzione microchirurgica dell’affezione.Il principale problema è in tale caso rappresentato dalla precisa selezione dei pazienti che va eseguita classificando correttamente il tipo di varicocele sulla scorta dei risultati della flebografia.
Quest’ultima per la sua indaginosità ( da noi comunque viene eseguita in day Hospital) rappresenta il principale limite alla larga diffusione del trattamento microchirurgico del varicocele che per una corretta applicazione prevede una precisa conoscenza della situazione emodinamica su cui il chirurgo si accinge ad operare.
Riassunto
Dal settembre ’87 al mese di dicembre ’91 gli Autori hanno osservato 38 pazienti di età compresa tra i 15 ed i 27 anni ( età media 19,2 anni) affetti da varicocele sx recidivo.
Venticinque (65,8%)di tali pazienti sono stati selezionati sulla base di dati clinico – strumentali ( velocimetria doppler e flebografia transfemorale) ed indirizzati verso il trattamento microchirurgico safenopampiniforme o spermatico epigastrica. Presupposto per la riuscita di tali interventi interventi è la conoscenza delle alterazioni del drenaggio venoso testicolare e dunque la correzione di questo ultimo nel pieno rispetto dei degli elementari principi fisici della emodinamica.
Summary
From September ‘87 until December ’91 the authors report 38 pz of 15–27 years old [M19.2 years] with recidive left varicocele . Twenty-five )68.5%) pzs have been selected with clinical - instrumental data [ Doppler and trans femoral flebography] and operated with safeno pampiniform or spermatic epigastric microsurgical anastomoses.
For a good efficacy of operations, knowledge needs alterations of venous testis drainage for its correction on respect of elementary Physical emodinamic principles
Bubliografia
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conservatrice et hemodinamiquè de l'insuffisancè
veineusè et ambulatoire . Ed..De L'ARMACON,PRECY-SOUS-THIÌ
1986
Donazione Scientifica
UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
II FACOLTA' DI MEDICINA E CHIRURGIA
VII DIVISIONE CHIRURGIA GENERALE E MICROCHIRURGIA
DIRETTORE:PROF.G.PERSICO
*ISTITUTO DI ANATOMIA ED ISTOLOGIA PATOLOGICA: DIRETTORE:PROF.A.CALI'
**CATTEDRA DI ONCOLOGIA MEDICA: DIRETTORE:PROF. R.BIANCO
PLASMOCITOMA SOLITARIO GASTRICO: CASO CLINICO E REVISIONE DELLA LETTERATURA
FINELLI A. MD,AMATO B MD .,PAGANO G MD.,Markabaoui A.K. MD, Luise S.MD PERSICO G Prof . MD PhD , D'ARMIENTO F.* MD , IAFFAIOLI R.V.** Prof. MD
Introduzione
La localizzazione extramidollare del plasmocitoma è rara; le alte vie resiratorie, la cavita' orale e/o la congiuntiva sono le sedi elettive, con una incidenza cumulativa complessiva,che nelle malattie rare equivale alla prevalenza,stimata dal 65% all'85% [1-2-3-4-5]. Il 10% dei plasmocitomi extramidollari ha una localizzazione primaria nel tratto gastroenterico [1-2]: di questi il 30% ha sede nello stomaco, il 56% nell'intestino tenue o crasso, la parte restante nel duodeno o nel retto [1-5-6]. La localizzazione gastrica del plasmacitoma midollare pone problemi di diagnosi differenziale e di terapia, legati alla rarità di questa affezione in una sede in cui peraltro sono frequenti neoplasie di diversa istogenesi. Queste problematiche hanno indotto gli autori a riportare un caso di plasmocitoma extramidollare a primitiva localizzazione gastrica capitato alla loro osservazione e seguito nel tempo, ed a rivedere la letteratura sull'argomento. Materiali e Metodi Caso Clinico Dal 1986 al 1991 (epoca del decesso) abbiamo seguito il paziente V.A. perchè affetto da un plasmocitoma solitario localizzato allo stomaco; i suoi dati clinici sono stati esaminati e riportati. Con il sistema di banca dati biliografici Medlars (National Library of Medicine, Bethesda, Maryland, USA) sono stati individuati gli articoli della letteratura tra il 1979 ed il 1991.che trattano le problematiche associate alla localizzazione gastrica del plasmocitoma solitario Per il periodo precedente al 1979 si e' fatto riferimento all'ultima revisione della letteratura sull'argomento (3).
RISULTATI
CASO CLINICO
V.A.un uomo di 40 anni in a.b.s. fino al mese di ottobre 86,fu ricoverato presso l'istituto di gastroenterologia per l'insorgere di una sintomatologia caratterizzata da:calo ponderale,dispepsia,dolore epigastrico,anemia, astenia,anoressia;alla palpazione dell'addome non si apprezzavano masse. L'hemooccult test era positivo , gli altri esami di Laboratorio evidenziavano ipergammaglobulinemia di tipo IgA-IgM senza protenuria di Bence-Jones. L'ecografia dell'addome, le radiografie del torace e dello scheletro non evidenziavano alcuna patologia. La biopsia midollare mostrava tessuto emopoietico normofunzionante. Una iniziale EGDS risultava negativa. Alla laparoscopia si evidenzio' un ispessimento ed una infiltrazione della grande curvatura gastrica lungo la quale erano dislocati numerosi linfonodi omentali di grandi dimensioni(diametro=3-4 cm.);anche il legamento gastrosplenico si presentava infiltrato e con linfonodi aumentati di volume. Il paziente fu trasferito in ambiente chirurgico per uno staging laparotomico; iltempo resettivo dell'intervento fu costituito dalla resezione “en bloc” dello stomaco,del corpo e della coda del pancreas,della milza e dei linfonodi;la continuita' enterica fu ristabilita con una esofago-digiunostomia su ansa ad omega associata ad entero-enterostomia sec.Braun. Fu il paziente sottoposto anche a resezione della IX costola sinistra e biopsia epatica All'esame istologico la neoplasia risultava un plasmocitoma gastrico con coinvolgimento di tutti i linfonodi asportati; all'apertura dello stomaco si repertavano due ulcerazioni al taglio di colorito bianco lardaceo ed infiltranti. Sulle sezioni dopo fissazione in formalina tamponata al 10% venivano e seguite le seguenti colorazioni: E.E,PAS,VAN GIESON,reticolo sec GOMORI e reazione immunoistochimica con metodo PAP (perossidasi- antiperossidasi) per le catene K e L al fine di verificare la monoclonalita' della popolazione cellulare. Microscopicamente si e' osservata una infiltrazione plasmacellulare diffusa alla parete gastrica fino ad ulcerare la mucosa superficiale. La popolazione plasmacellulare era monomorfa con classici corpi di Russel alla PAS reazione (fig.1). La positivita' per le catene Kappa e la negativita' per le Lambda dimostravano una monoclonalita' che sulla scorta del quadro morfologico era dirimente per la diagnosi di plasmocitoma gastrico. In ambiente oncologico il paziente fu sottoposto, a partire dal febbraio 87 fino al giugno 87,a 5 cicli di chemioterapia secondo il seguente protocollo:
-Vincristina 1 mg/die
-Alkeran 0,15 mg/kg = 8mg/die
-Endoxan 3 mg/kg = 3cp da 50mg/die
-Deltacortene 1,5 mg/kg = 3cp da 25mg/die
La scintigrafia ossea total body a 3,6,e 12 mesi dall'intervento risulto' nei limiti della normalita'. A 6 mesi dall'intervento la TAC addome evidenzio' una ripresa della malattia a carico dei linfonodi perigastrici, peripancreatici,mesenterico-lomboaortici. Il paziente fu quindi sottoposto a telecobaltoterapia (32,5 Gy totali mediante due campi contrapposti) per tre mesi ed inizio' un ciclo di terapia con interferon della durata di 12 mesi. A nove mesi dall'intervento un nuovo controllo TAC non rivelo' modificazioni del reperto precedente; un ulteriore controllo a 12 mesi rivelo' un ulteriore peggioramento del quadro. A 12 mesi dall'intervento il paziente inizio' 12 cicli di chemioterapia; gli effetti di questa furono controllati con la TAC dopo 6,9 e 12 mesi. Da tali controlli si rivelò che dopo un iniziale risposta alla terapia le tumefazioni linfoghiandolari andarono incontro ad un ulteriore aumento di volume. Nel marzo del 90 il paziente si ricovera di nuovo in ambiente chirurgico per una laparotomia esplorativa nel corso della quale furono asportati i linfonodi della radice del mesentere e celiaci. In quelle circostanze ci si astenne dall’eseguire biopsia epatica considerate le condizioni cliniche scadute del paziente; comunque macroscopicamente il fegato non appariva coinvolto dalla affezione L'esame istologico evidenzio' in tali linfonodi isolotti di polasmacellule atipiche confermando la diagnosi pregressa di plasmocitoma a presumibile partenza gastrica. Il paziente fu dimesso nell'aprile 90 guarito chirurgicamente; egli e' deceduto nel mese di giugno del 90. Il riscontro diagnostico post-mortem non si e' potuto eseguire.
REVISIONE DELLA LETTERATURA
Il riscontro di un plasmocitoma gastrico e' un'evenienza rara; una revisione della letteratura del 1978 (3) metteva in evidenza complessivamente 66 casi riportati. Da allora fino al 1984 ne sono stati riportati da vari autori altri 32 casi (7-8). In seguito alcuni autori (9-10),sulla base di studi istochimici e morfologici, hanno proposto la classificazione di queste neoplasie tra i linfomi maligni a localizzazione gastrica. Da cio' e' derivata una variazione dell'importanza epidemiologica del plasmocitoma gastrico e del tipo di approccio terapeutico. Scott (3) nel 1978 aveva inquadrato i plasmocitomi extramidollari in una delle 4 categorie suggerite da Azar e Potter (11):
- disseminazione extrascheletrica o distale di mieloma multiplo
- granuloma plasmacellulare
- legittimo plasmocitoma dei tessuti molli in assenza di dimostrabili lesioni ossee
- linfoma o linforeticulosi associata a gammopatia monoclonale.
L'introduzione della tecnica di colorazione della immunoperossidasi (3), utile ad evidenziare in queste cellule neoplastiche quegli addensamenti di immunoglobuline citoplasmatiche che costituiscono i corpi di Russel, ha consentito di confermare la diagnosi di plasmocitoma gastrico anche nei frequenti casi di negativita' degli esami sul siero e sulle urine. Con questa tecnica e' stato possibile riesaminare i vecchi campioni istologici fissati con la formalina che non potevano essere studiati con la tecnica dell'immunofluorescenza (3). In caso di plasmocitoma gastrico una gammopatia biclonale e'stata riscontrata con una frequenza dell'1,9% dei casi (12). Raramente e'stata riscontrata una produzione di IgM da un plasmocitoma gastrico (13). Esiste univocita' di vedute per quel che riguarda una terapia chirurgica di exeresi radicale del plasmocitoma (2-3-7). Le terapie adiuvanti variano a seconda se tali neoplasie vengono inquadrate tra i linfomi o tra i plasmocitomi quali entita' patologiche a se stanti. Nel primo caso la terapia radiante e' considerata il trattamento di scelta (9-10);nel secondo caso la chemioterapia sarebbe l'unica terapia adiuvante confortata da un efficace risultato terapeutico (2-3-7).
DISCUSSIONE
La recente sovrapposizione tra plasmocitomi e linfomi gastrici riscontrata in letteratura (9-10) obbliga ad una definizione del plasmocitoma . In questa sede abbiamo classicamente definito (3) plasmocitoma una proliferazione monoclonale di cellule producenti un solo tipo di immunoglobuline. Una proliferazione policlonale di plasmacellule puo' essere considerata come un granuloma plasmacellulare. Il paziente riportato presentava una gammopatia monoclonale a catene K; il rilievo di due diverse classi di immunoglobuline e soprattutto la presenza di IgM sono evenienze alquanto rare (12-13). Cio' potrebbe essere spiegato ammettendo che le immunoglobuline vengono prodotte da cellule B interessate dalla trasformazione maligna in due diverse fasi della maturazione cellulare (3). Comunque gli autori segnalano la regressione della gammopatia dopo terapia chirurgica a conferma della provenienza di tali molecole dalle cellule neoplastiche. la terapia in accordo con quanto riportato in letteratura per i plasmocitomi gastrici e' consistita in un trattamento chirurgico elettivo (gastrectomia totale + esofago-digiunostomia ad omega) con chemioterapia e radioterapia adiuvanti. Gli autori infine segnalano la buona risposta ottenuta con la terapia chirurgica e la chemioterapia mentre scarsa e' stata la risposta del caso clinico alla radioterapia, verificando cosi' l'importanza di un corretto inquadramento nosologico del plasmocitoma gastrico e ribadendone l'importanza epidemiologica per la sua rarita' e la necessita' di un approccio parachirurgico che si discosta da quello dei piu' comuni linfomi a localizzazione gastrica.
FIG. 1: M.E. - PAS REAZIONE 400 X MUCOSA ANTRALE SEDE DI INFILTRAZIONE PLASMACELLULARE A CARICO DELLA TONACA PROPRIA . SONO PRESENTI CORPI DI RUSSEL.
Riassunto
Gli Autori riportano un raro caso di plasmocitoma solitario extramidollare gastrico seguito dall’esordio clinico della sintomatologia fino alla morte del paziente. Su tale patologia è stata effettuata una revisione della letteratura scientifica Il Paziente di sesso maschile , fu sottoposto a gastrectomia totale con splenopancreasectomia sinistra all’età di 40 anni; dopo l’intervento chirurgico , seguito da chemio e radioterapia adiuvanti , il plasmocitoma è recidivato. Il paziente è morto 4 anni dopo il primo intervento. Il Plasmocitoma gastrico è una entità patologica rara; dalla inclusione di questa neoplasia tra i linfomi o tra i plasmocitomi ne derivano diversi approcci terapeutici adiuvanti pre e\o postoperatori. Gli autori evidenziano una migliore risposta della affezione alla chemioterapia rispetto alla radioterapia. Ciò indica la necessità di separare i Plasmocitomi solitari gastrici dai Linfomi sistemici.
Parole Chiavi Stomaco – Plasmocitoma - Linfoma
Solitary gastric plasmacytoma . Case Report and review of Literature
Summary
The Authors report a rare case of solitary extramedullary Gastric Plasmacytoma followed from clinic onset of disease until the death of the patient. The international scientific Literature has been reviewedon this medical topic. The male patient underwent total gastrectomy withleft splenopancreasectomy when he was 40 years old; after surgeryfollowed by chemio and radiotherapy , the plasmacytoma relapsed . The patient died 4 years after firstsurgical opreration. Gastric Plasmacytoma is a rare pathological entity ; different pre and postsurgical therapeutic adiuvant approaches derive from inclusion of this gastric neoplasm in the lymphomas or extramedullary plasmacytomas. The Authors emphasizea betterresponse of the disease to adiuvant post surgical chemiothetapy than radiotherapy . It suggests the necessity of a separation of gastric plasmocitomas from the systemic Lymphomas.
Key Words : Stomach – Plasmacytoma – Lymphoma
Napoli 14 Aprile 2021
Testo Riveduto – Ampliato e Corretto
F.to Dr. Alessandro FinelliMD – PhD
All Rights Reserved
Recensioni
"PLASMOCITOMA SOLITARIO GASTRICO, Caso clinico e revisione della letteratura " Min.chir. Vol. (49)N.10 pag 991-994.
"PLASMOCITOMA SOLITARIO GASTRICO: RARA LOCALIZZAZIONE DEL PLASMOCITOMA EXTRAMIDOLLARE . " Comunicazione tenutasi al VII congresso nazionale della S.P.I.G.C. Taormina 20-21 Mag. 1994
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FIG.2: M.E. 120 X MUCOSA ANTRALE CON PLASMACELLULE. ALLA REAZIONE PAP-PEROSSIDASI ANTIPEROSSIDASI– POSITIVITA' PER CATENE K. PRESENZA DI CORPI DI RUSSEL
Ultrasuonologia Vascolare diagnostica vs Flebografia
VARICOCELE RECIDIVO:STUDIO COMPARATIVO STRUMENTALE, VELOCIMETRIA DOPPLER VS FLEBOGRAFIA.
FINELLI A MD.,AMATO B MD.,PIEMONTE F MD.,MARKABAOUI A.K..MD IACCARINO V Prof. MD PhD.,PERSICO G. Prof MD -PhD
UNIVERSITA DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICO II
VII DIVISIONE DI CHIRURGIA GENERALE E MICROCHIRURGIA
DIRETTORE:PROF. G. PERSICO
RIASSUNTO:
L’insuccesso terapeutico dopo trattamento chirurgico del varicocele è stimato in letteratura avere una incidenza che varia secondo le casistiche dei vari autori tra il 7% ed il 20%. Gli autori presentano la loro esperienza relativa a 38 casi di varicocele recidivo osservati tra il settembre 89 ed il mese di giugno 91.
Si sottolinea l’importanza di un trattamento chirurgico che, rispettando codificati principi fisiopatologici, tende ad ottenere una valida correzione delle alterazioni emodinamiche che sostengono la alterazione funzionale di tale affezione. In tale ottica viene inquadrato il ruolo svolto dall’esame velocimetrico Doppler e dalla flebografia nell’iter diagnostico dei varicocele recidivo.
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Si deve a Coolsaet (1) la comprensione dei momenti eziopatogenetici che sono alla base della alterazioni emodinamiche del varicocele primitivo; questi con i suoi studi flebografici ha ben identificato la complessità del drenaggio venoso testicolare. Lo stesso autore ha proposto una classificazione etipatogenetica del varicocele idiopatico che viene cosi distinto in tre tipi in funzione della variazione anatomo-flebografiche da lui evidenziate.
La comprensione degli insuccessi terapeutici dopo trattamento del varicocele idiopatico può essere interpretata in tale chiave; il varicocele di tipo I (nutcracker alto) che si giova dei classici interventi di legatura alta della vena spermatica interna (2-3) incide con una percentuale del 90¥ dei casi. l varicocele di tipo II (nutcracker basso) e di tipo III (nutcracker alto e basso)¬ rappresentano l'altro 10% dei casi che non si avvalgono di tale tipo di trattamento.
La clinica ,il laboratorio (spermiogramma, dosaggio del testosterone, FSH,LH) e la velocimetria Doppler permettono di porre diagnosi di varicocele e per il loro basso costo possono essere adottati per lo screening di coppia nei casi di infertilità od ipofertilità maschile. Ben diverso è il ruolo svolto dalla flebografia nell’iter diagnostico del varicocele primitivo soprattutto quando questo è recidivo. Gli autori ribadiscono l’importanza dell’esame flebografico nel varicocele recidivo al fine di classificare in modo corretto il tipo di varicocele ed eseguire una mirata correzione chirurgica dello stesso senza ricorrere a scelte tecniche spesso dettate dalla sola attitudine del chirurgo operatore.
La nostra esperienza riguarda 34 pazienti affetti da varicocele recidivo di età compresa tra é 15 ed i 27 anni osservati dal settembre 87 al giugno 91. Gli autori hanno considerato in accordo con la classificazione di De Bellis (4) sia pazienti con varicocele residuo e persistente (12 pz =35,3%), i quali ai controlli velocimetrici postoperatori eseguiti a 3, 6 e 12 mesi non presentavano regressione del reflusso spermatico-testicolare;sia pazienti con reale varicocele recidivo (22 pz = 64,7%) che dopo un iniziale miglioramento dei reperti velocimetricï postoperatori, agli ulteriori controlli presentavano la ricomparsa del reflusso. In 25 pazienti dopo la conferma ultrasonografica, abbiamo eseguito l’esame flebografico per via transfemorale (5) che non eseguiamo routinariamente nei pazienti da operare in prima istanza per la invasività di tale metodica. Dal momento che tutti i suddetti pazienti avevano ricevuto un intervento di legatura alta della spermatica interna e sclerosi retrograda della stessa con atoxisclerol al 2%;il significato della flebografia è stato quello di identificare situazioni anatomiche quali vene spermatiche interne accessorie od un nutcracker basso che sostenessero la recidiva. In tre dei 12 pazienti con varicocele residuo la flebografia mostrava persistenza della patologia sostenuta da vene spermatiche interne accessorie e/o collateralità'. In tal pazienti si è eseguita una derivazione safeno-pampiniforme con tecnica microchirurgica. Negli altri 9 pazienti non è stata necessaria la flebografia perché ai controlli velocimetricï si era evidenziato una insufficienza concomitante dell'ostio safeno-femorale omolaterale che è stata corretta in anestesia locale secondo tecnica C.H.I.V.A. (6).
Gli altri 22 pazienti sottoposti ad esame flebografico presentavano recidiva sostenuta in 6 casi (27,3%)dalla persistenza di reflusso reno-spermatico (nutcracker alto) ed in 16 casi (72,7%) dalla presenza di nutcracker basso e dunque da un varicocele di tipo II divenuto dopo l’atto chirurgico iatrogenamente di tipo III. Nel primo gruppo abbiamo eseguito una derivazione safeno-pampiniforme con tecnica microchirurgica mentre nel secondo siamo dovuti ricorrere alla derivazione tra spermatica interna ed epigastrica inferiore termino terminalmente previa sezione di quest'ultima a monte dello sbocco della spermatica esterna.
I pazienti con varicocele residuo o recidivo che hanno ricevuto la derivazione microchirurgica safeno- pampiniforme (3+6=9=26,5%) per il persistere di un varicocele di tipo I hanno tutti sortito beneficio clinico avvalorato dal miglioramento dello spermiogramma nei controlli eseguiti a 6 e 12 mesi. Nei nove pazienti (26,5%) con varicocele residuo in cui si è ricorso alla sola correzione dell'ostio safeno-femorale con tecnica C.H.I.V.A. senza ricorrere all’esame flebografico anche si è assistito alla regressione del varicocele che probabilmente era sostenuto da un reflusso safeno-spermatico alimentato dalle anastomosi esistenti tra vene scrotali e safene interne mediante le vene pudende esterne (1). In questi ultimi casi la legatura all'ostio della safena sec. tecnica c.h.i.v.a. negativizza la pressione nella safena ristabilendo il fisiologico flusso venoso scrotale-safenico.
La risoluzione clinica con miglioramento dello spermiogramma si è avuta anche nei 16 pazienti in cui si è dovuto ricorrere alla derivazione spermatico- epigastrica sulla guida dell’esame flebografico che ci ha indirizzati sulla situazione anatomica loco-regionale per la programmazione di un sicuro intervento derivativo [evidenziazione dello sbocco della spermatica esterna nella epigastrica inferiore, individuazione di eventuali valvolazioni della epigastrica inferiore che possono inficiare il successo della microanastomosi].
Alla luce della loro esperienza gli autori ribadiscono il ruolo di primaria importanza della velocimetria nel porre diagnosi di varicocele recidivo soprattutto se subclinico .Tuttavia l’indagine, come già da molti autori riferito (7-9),non dà indicazioni sul tipo di varicocele e dunque non identifica la reale sede del reflusso, presupposto essenziale per eseguire una adeguata correzione chirurgica. Per tale ragione gli autori ritengono indispensabile l’esame flebografico per conoscere la situazione anatomica che sostiene tale tipo di patologia e per scegliere la giusta soluzione terapeutica. Lascelta in talli casi potrà essere una derivazione microchirurgica safeno-pampiniforme, proposta negli anni 70 (10) e ripresa negli anni 80 (11-12),quando persiste un varicocele di tipo I; oppure potrà consistere in una derivazione spermatico-epigastrica come proposto da Belgrado (13) in caso di recidiva da varicocele di tipo II e III. Nella recidiva sostenuta da reflusso safeno- scrotale si propone una correzione della insufficienza ostiale con tecnica c.h.i.v.a. Questo ultimo caso è l’unico in cui l’esame velocimetrico Doppler sembra permettere una selezione dei pazienti che non vanno indirizzati verso l’esame flebografico.
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Recensione
"VARICOCELE RECIDIVO :STUDIO COMPARATIVO STRUMENTALE : VELOCIMETRIA DOPPLER VS FLEBOGRAFIA. "Min.Angiol: suppl.2 al vol.16 oct.dic.1991pag.77-9.
Comunicazione presentata al II Congresso Nazionale del Gruppo Italiano Di Ultrasuonologia Vascolare . Bologna 15-17 ottobre 1991
Microchirurgia Sperimentale Clinica
IL TRATTAMENTO CHIRURGICO DEL VARICOCELE : CHIRURGIA TRADIZIONALE VS CHIRURGIA MININVASIVA . PROPOSTA DI UN PROTOCOLLO DI STUDIO.
Finelli A., Amato B., Merolla A., Persico F., Persico G..
Università degli Studi di Napoli Federico
II Facoltà di Medicina e Chirurgia.
Cattedra di Chirurgia Generale
V Divisione di Chirurgia Generale e Geriatrica.
Direttore Prof : G .Persico
Via S.Pansini 5 (80131) Napoli
Tel .081\746 2522
Riassunto
Gli autori propongono un protocollo di studio sul trattamento del varicocele con l’intento di codificarne le indicazioni alle varie tecniche chirurgiche di trattamento, verificarne i risultati e migliorarli . L’analisi retrospettiva e prospettiva dei risultati permetterà di confrontare tecniche chirurgiche tradizionali con quelle di più recente applicazione quali quelle videoassistite e quelle mininvasive (anastomosi microchirurgiche e tecniche di microdissezione dei vasi funicolari).
Problematiche
Da una revisione della letteratura appare chiara la necessità di ricorrere ad accurati criteri di selezione e stratificazione della popolazione di pazienti affetti dal varicocele al fine di poter usufruire di un campione di pazienti omogeneo . Urge dunque ricorrere a score system basati su criteri di valutazione clinico-strumentali ; tali criteri di valutazione risulteranno utili per indirizzare i pazienti verso i diversi tipi di trattamento chirurgico ed a verificarne i risultati in maniera analitica .
Obiettivi dello studio
Attualmente in letteratura si tende a preferire il trattamento microchirurgico e mininvasivo nelle forme avanzate di varicocele (2-5-8-9), mentre la chirurgia tradizionale (1-4) che prevede la legatura alta e\o bassa delle vene spermatiche sembra sortire migliori risultati nelle forme iniziali del varicocele . L’obiettivo dello studio è quello di confrontare le tecniche chirurgiche tradizionali con quelle mininvasive videoassistite e microchirurgiche (5-7-8-9).
Disegno sperimentale
Un campione di 150 pazienti verrà selezionato ed osservato in maniera retrospettiva e prospettiva dal gennaio 1989 al giugno 1997 ; si intende selezionare 3 gruppi di studio costituiti da 20 pazienti . Il primo gruppo sarà costituito dai pazienti che sono stati o saranno indirizzati verso la chirurgia tradizionale ; al secondo gruppo afferiranno quelli che saranno sottoposti al trattamento videolapascopico ed al terzo gruppo quelli sottoposti a trattamento mininvasivo. Ogni gruppo sarà sottoseriato in quattro sottogruppi di 5 pazienti in funzione dello stadio del varicocele . La stadiazione avverrà in funzione di uno score system che terrà in considerazione criteri clinico-strumentali e laboratoristici quali l’entità della ectasia venosa scrotale , del reflusso spermatico-testicolare all’ecodoppler e le eventuali alterazioni dello spermiogramma (6-8). In tale modo si procederà a stadiare i pazienti in funzione del grado del varicocele ricorrendo al seguente score system :
ECTASIA SCROTALE :
< 2 cm (punti 1);
>2-4 cm.< (punti2)
>4cm) (punti3)
REFLUSSO EMODINAMICO SPERMATICOTESTICOLARE :
I grado <2 sec (punti 1)
II grado >2-4sec.< (punti2)
III grado >4sec (punti3).
SPERMIOGRAMMA : N.spermatozoi
<20mil. x ml (punti3)
>20 mil .-40 ml. < (punti2)
>40mil. (punti 1).
SPERMIOGRAMMA : % motilita :
>60% (punti 1) ;
<60%-30%> (punti2) ;
<30%(punti3).>
FERTILITY INDEX :
>1(punti 1) ;=1 (punti2) ; <1 (punti3)
(* Fertility index = rapporto tra % di spermatozoi mobili e numero espresso in milioni x ml.)
STADIO :
I (punti 5-7) ;
II (punti 8-10) ;
III (11-13) ;
IV (punti 14-15) .
Dunque ad ogni sottogruppo afferiranno pazienti con uno specifico stadio clinico di malattia cosicché per ogni tipo di trattamento sarà possibile il confronto dei risultati in relazione al grado del varicocele. Il controllo dei risultati avverrà rifacendosi allo stesso score system risottoponendo i pazienti a valutazione clinico-laboratoristico- strumentale a 6- 12 e 24 mesi .
L’analisi dei risultati verrà eseguita ricorrendo al test della significatività statistica del chi quadrato, al test T di Student ed F di Fisher per la inferenza dei risultati ; invece la valutazione del grado di associazione tra le variabili testate verrà eseguita calcolando il coefficiente di correlazione di Pearson .(3)
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8- Goldstein M. , Gilbert B.R. , Diker A.P. , Dwosh J. , Gnecco G. , “ Microsurgical inguinal varicocelectomy with delivery of the testis : an artery and lynfatic sparing tecnique “. J. Urol. 1992 dec. 148(6) 1808-1811.
9- Matsuda T. , Hori Y. , Higashi J. , Oishi K. , Tacheuchi H. , “Laparoscopic varicocelectomy : a simple tecnique for clip ligation of the spermatic vessels “. - Urol. 1992 ; 147(3) : 636-8.
Gastroenterology International
(vol . 10, suppl.3 p 989,1997)
Napoli 18 Luglio 2021
Dr. Alessandro Finelli MD - PhD
All Rights Reserved
Microchirurgia Sperimentale Clinica II
Indici predittivi le difficoltà tecniche nella chirurgia tradizionale del varicocele .
Finelli A., Amato B., Merolla A., Persico F., Persico G..
Università degli Studi di Napoli Federico
II Facoltà di Medicina e Chirurgia.
Cattedra di Chirurgia Generale
V Divisione di Chirurgia Generale e Geriatrica.
Direttore Prof : G .Persico
Via S.Pansini 5 (80131) Napoli
Tel .081\746 2522
Riassunto
Spesso l’insuccesso terapeutico del trattamento del varicocele idiopatico viene attribuito alla imperizia dell’operatore e\o alle difficoltà tecniche che tale tipo di chirurgia presenta. Gli autori cercano con il seguente studio di identificare le possibili difficoltà che si incontrano nell’approccio a tale tipo di chirurgia ed analizzare quei fattori predittivi utili a quantificarne l’entità. Introduzione Oggi numerosi autori tendono a confrontare in letteratura i diversi approcci chirurgici al trattamento del varicocele rifacendosi a criteri di valutazione quali la frequenza con cui incide la recidiva della patologia e\o i risultati funzionali di tale chirurgia sui quali ancora oggi esistono notevoli dubbi.(1-2) Con l’avvento della videolaparoscopia (3) ed ancora prima con il successo riscontrato dalle tecniche microchirurgiche (4-5-6-7), rispettivamente alla fine ed agli inizi degli anni 80 , si è assistito ad un certo abbandono della chirurgia tradizionale del varicocele a favore di queste ultime tecniche. Quando si è potuto riscontrare una certa sovrapposizione dei risultati funzionali e della frequenza delle recidive tra i tre tipi di chirurgia si è ,per motivi di ordine tecnico ed economico, assistito al ritorno ed alla rivalutazione della chirurgia tradizionale da parte di numerose scuole chirurgiche .(1) Bisogna infatti considerare che, a parità di risultati funzionali delle varie tecniche chirurgiche , ai discutibili risultati estetici ottenibili con le tecniche mininvasive si oppongono gli elevati costi delle metodiche che richiedono strumentario chirurgico costoso nonché operatori esperti e dotati di una certa attitudine microchirurgica la quale richiede a sua volta un lungo e più o meno costoso Training. Non bisogna però trascurare le difficoltà tecniche che si incontrano nell’ eseguire la chirurgia tradizionale. Considerando che tale chirurgia non richiede un grande apprendistato ne tanto meno una notevole perizia da parte dell’operatore, gli autori cercano di identificare quei fattori che possono rendere difficoltosa tecnicamente tale chirurgia per poi adottarli quali parametri di confronto con le recenti tecniche mininvasive.(3-7)
MATERIALI E METODI
Dal mese di gennaio 1992 al mese di dicembre 1995 sono stati selezionati 100 pazienti affetti da varicocele con età media 24.22 anni (DS 5.98 range 13- 48 anni). Di tali pazienti gli autori hanno considerato il tempo di degenza ospedaliera e la durata dell’intervento quali indici di valutazione della difficoltà tecnica riscontrata dal chirurgo operatore. Tutti gli interventi sono stati eseguiti da un unico chirurgo di vasta esperienza adottando sempre la medesima tecnica tradizionale (8-9) di sezione alta della\e vene spermatiche tra due legature secondo Ivannissevich in anestesia generale o spinale selettiva. In tale modo si ritengono eliminate dalla analisi dei risultati dello studio tutte quelle interferenze legate alla esperienza dell’operatore ed al tipo di tecnica chirurgica adottato . L’obiettivo dello studio è quello di passare in disamina quei fattori che possono rendere difficoltosa tale tipo di chirurgia intrinseci alla patologia (grado emodinamico del del varicocele valutato con la velociflussometria doppler, latenza tra esordio della affezione ed intervento) ; nonché quei fattori intrinseci al paziente stesso ossia i suoi indici antropometrici (peso ed altezza ). I risultati funzionali di tale chirurgia sono stati valutati considerando lo spermiogramma eseguito a 24 mesi di distanza dall’intervento. I livelli di significatività statistica (P) sono stati controllati con il test T di Student ed F di Fisher ; invece il grado di associazione tra le variabili è stato esaminato con il calcolo del coefficiente di correlazione di Pearson (R) trattandosi di variabili dipendenti ( 10 ).
RISULTATI
I cento pazienti selezionati hanno presentato una età media di 24.22 anni (DS 5.98 range 13-48 anni) ; il loro peso medio è risultato di 73.16 Kg. (DS 10.53 ) e la loro altezza media di 174.73 cm. (DS 7.26 ). Si tratta dunque di un gruppo di pazienti alquanto omogeneo per quanto concerne le caratteristiche antropometriche . La latenza tra esordio della patologia ed intervento è stata di 18,87 mesi (DS 20.18) mentre la durata media della degenza ospedaliera e dell’intervento chirurgico sono stati rispettivamente di 5.2 giorni (DS 2.4 ) e 17.29 minuti (DS 6.28 ). Tutti i pazienti sono stati stadiati utilizzando come criterio emodinamico quello della entità del reflusso rilevato alla flussovelocimetria doppler distinguendo così quattro diversi gradi emodinamici . Soltanto in 52 pazienti si sono riscontrate allo spermiogramma preoperatorio alterazioni del numero e\o della motilità degli spermatozoi ( N. spermatozoi : MEDIA 42.89 milioni x ml. DS 23.81). Di questi ultimi solo 18 hanno eseguito uno spermiogramma a 24 mesi di distanza dall’intervento ( N. spermatozoi : MEDIA 60.27 milioni x ml. DS 27.16 ) senza evidenza di significativi miglioramenti del numero degli spermatozoi ( P=0.055 test T di Student P=0.66 test F di Fisher ). Dall’analisi dei risultati non risulta esserci nel nostro gruppo di pazienti alcuna relazione tra l’età e l’entità delle alterazioni del numero degli spermatozoi allo spermiogramma (R= -0.035) ; mentre una bassissima associazione negativa sembra sussistere tra alterazioni del numero degli spermatozoi e latenza tra esordio della patologia e tempo dell’intervento (R= -0.24 ). Quest’ultima variabile non sembra essere correlata con i risultati funzionali dell’intervento ovvero con lo spermiogramma postoperatorio (R= -0.15 ). Un basso grado di associazione è stato riscontrato tra durata dell’intervento e giorni di degenza dei pazienti (R= 0.30 ). Queste ultime due variabili ,quando utilizzate per la verifica della entità delle difficoltà tecniche riscontrate nella esecuzione di tale chirurgia non presentano un significativo grado di associazione con gli indici antropometrici dei pazienti osservati (R=-0.05) ne con il grado emodinamico del varicocele (R=-0.08) ne con il tempo di latenza tra esordio della affezione ed intervento (R=0.11 ). Pertanto gli autori non considerano tali variabili validi indici predittivi delle difficoltà tecniche che si incontrano nella chirurgia tradizionale del varicocele.
DISCUSSIONE
Malgrado nel corso di tale studio si sia perseguita una rigorosa metodologia analitica , gli autori non possono astenersi dall ’ autocriticare l’ analisi dei risultati. Questa infatti potrebbe essere messa in discussione per la grande omogeneità del campione riscontrata nella rilevazione delle caratteristiche antropometriche dei pazienti selezionati e per non aver tenuto nella giusta considerazione il tipo di anestesia impiegata per la esecuzione degli interventi . Non in tutti i casi si è infatti ricorso alla anestesia generale ma si è spesso ricorso ad una anestesia spinale selettiva la quale in taluni casi può influenzare le difficoltà tecniche riscontrate dal chirurgo. Per una analisi di tale variabile bisognerebbe ricorrere ad un accurato studio psicologico dei paziente e della intera équipe operatoria facendo ricorso a test psicometrici. CONCLUSIONI Gli autori con il presente studio hanno analizzato quelle che sono considerate alcune delle variabili che influenzano le difficoltà tecniche di altri tipi di chirurgia. Le conclusioni a cui essi giungono sono che la standardizzazione della tecnica operatoria permette al chirurgo di ovviare alle difficoltà che tale chirurgia presenta. Tali risultati vanno considerati per un futuro confronto con le altre tecniche chirurgiche adoperate per il trattamento del varicocele quali quelle laparoscopiche e mininvasive .
BIBLIOGRAFIA
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4- Ishigami K. , Yoshida Y. , Hirooka M. , Mohri K. , “A new operation for varicocele . Use of microvascular anastomosis. Surgery 1970 ; 67 (11) 620-623.
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7- Goldstein M. , Gilbert B.R. , Diker A.P. , Dwosh J. , Gnecco G. , “ Microsurgical inguinal varicocelectomy with delivery of the testis : an artery and lynfatic sparing tecnique “. J. Urol. 1992 dec. 148(6) 1808-1811.
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Gastroenterology International
(vol . 10, suppl.3 p 991-992,1997)
Napoli 18 Luglio 2021
Dr. Alessandro Finelli MD - PhD
All Rights Reserved
"L'uso dei collanti biologici per il confezionamento degli autoinnesti venosi nella microchirurgia ricostruttiva dei vasi linfatici:Studio sperimentale nel ratto."
Finelli A., Persico M., Persico G..
Università degli Studi di Napoli Federico II
Facoltà di Medicina e Chirurgia.
Cattedra di Chirurgia Generale
V Divisione di Chirurgia Generale e Geriatrica.
Direttore Prof : G .Persico
Via S.Pansini 5 (80131) Napoli
Tel .081\746 2522
Riassunto
Numerose sono le tecniche microchirurgiche proposte per la correzione dei linfedemi cronici, tra queste l'uso degli autoinnesti venosi è certamente quella che risponde meglio alle esigenze di tale chirurgia . Tuttavia le difficoltà tecniche legate alle esigue dimensioni delle strutture su cui si lavora spingono a ricercare accorgimenti tecnici che allo stesso tempo rendono l'atto operatorio più semplice nella esecuzione e più efficace nei risultati a distanza. Per raggiungere tale scopo si propone l'uso di un collante biologico (colla di fibrina umana) nel confezionamento delle anastomosi linfo-venose telescopiche quali sono quelle adottate per gli autoinnesti venosi pro vasi linfatici.
Problematiche
L'uso dei collanti biologici negli ultimi 10 anni ha riscontrato grandi consensi nel campo della chirurgia addominale (anastomosi viscerali, emostasi delle trance di sezione di organi parenchimali come il fegato e la milza). Minori successi si sono ottenuti con il loro uso in chirurgia vascolare probabilmente per le caratteristiche trombofiliche del prodotto. Poco si ritrova in letteratura sul loro uso circa la realizzazione delle anastomosi linfo-venose ed in particolare di quelle telescopiche utilizzate per la esecuzione di autoinnesti di vena pro-linfatici. L' utilizzo degli autoinnesti di vena rappresenta una soluzione tecnica molto valida per risolvere alcuni problemi della microchirurgia ricostruttiva dei linfatici quali quello di realizzare la connessione tra collettori linfatici molto distanti oppure quello di anastomosi linfo-venose non realizzabili per uno stato di ipertensione del circolo venoso .
Obiettivi dello studio
Riguardo tale argomento si propone un protocollo di studio comparativo tra anastomosi telescopiche linfo-venose eseguite con e senza l'ausilio dei collanti biologici. Esso prevede l'utilizzo di 20 ratti Wistar dal peso di 350gr: ed età compresa tra i 3 ed i 6 mesi nei quali dopo aver realizzato un linfedema degli arti posteriori legando i collettori linfatici paracavali si procede al ripristino della loro continuità innestando la vena epigastrica inferiore prelevata all'inguine. La realizzazione di tali innesti prevede l'esecuzione di anastomosi telescopiche con o senza l'utilizzo del collante biologico al fine di verificare i benefici che derivano dal suo uso.
Disegno sperimentale
I venti ratti saranno divisi in 2 gruppi omogenei ; il primo gruppo (10 ratti) sarà costituito da campioni nei quali si eseguiranno anastomosi con l'ausilio della colla di fibrina , il secondo gruppo (10 ratti) sarà costituito dai controlli ovvero dai ratti nei quali le anastomosi linfo-venose verranno realizzate senza l'ausilio dei collanti biologici. Lo studio inizierà con la creazione di un linfedema iatrogeno agli arti posteriori dei ratti tramite legatura dei linfatici paracavali. Tutte le procedure saranno eseguite nel pieno rispetto della L.116\92 e delle raccomandazioni del C.I.O.M.S. (Council For International Organization Of Medical Sciences) in materia di sperimentazione sugli animali. Pertanto tutte le procedure arrecanti dolore all'animale da esperimento saranno condotte in anestesia generale (indotta con etere e mantenuta con barbiturico intraperitoneale :Tiopentale 4 mg.\100gr.p.c.) od in neuroleptoanalgesia (Fentanile e droperidolo al dosaggio di 0,5ml\100gr. p.c.im. all'induzione e 0,2ml\100gr.p.c.im. per il mantenimento). Dopo la creazione del linfedema iatrogeno i ratti verranno sottoposti a relaparotomia con autoinnesto di vena epigastrica inferiore prelevata all'inguine dove si procederà alla somministrazione sottocutanea del colorante linfocromico Blue Patent V per agevolare la identificazione dei collettori linfatici paracavali. L'innesto di vena autologa sarà eseguito adottando la tecnica delle anastomosi telescopiche per inosculamento dopo aver sezionato un breve tratto dei collettori linfatici paracavali. Per l'innesto si userà materiale di sutura non riassorbibile monofilamentoso del calibro 10-11 zero. L'inosculazione del collettore linfatico nell'innesto venoso avverrà introducendo il\i vasi linfatici nella vena ad una distanza dai margini di quest'ultima di 0,5 mm con singolo punto ad U annodato all'esterno dell'innesto venoso. L'affrontamento dei margini della parete venosa su quella linfatica verrà invece eseguita con modalità diverse nei due gruppi di ratti. Nel primo gruppo verrà eseguito apponendo il collante biologico mentre nel secondo gruppo si procederà alla classica tecnica microchirurgica che consiste nell'eseguire l'affrontamento ponendo dai 2 ai 4 punti di sutura intorno ai margini. In questo secondo caso si utilizzerà lo stesso materiale di sutura utilizzato per l'inosculamento. Successivamente i ratti verranno sottoseriati in quattro gruppi di 5 ratti e sacrificati a distanza di 15 e 30 giorni dall'intervento per l'esame istologico al M.O (microscopio ottico) ed al M.E.S. (microscopio elettronico a scansione). In tale modo si potranno verificare le differenze delle anastomosi eseguite con le due diverse modalità. Nel postoperatorio la valutazione clinica del linfedema sarà effettuata riferendosi a parametri quali la variazione del peso corporeo e con la pletismometria degli arti posteriori dei ratti. Il protocollo presentato malgrado sia volto allo studio prevalentemente delle microanastomosi linfo-venose non esclude l'eventuale utilizzo e la sperimentazione di farmaci atti a favorire la riuscita degli autoinnesti e\o accellerare la risoluzione del linfedema.
RIFERIMENTO BIBLIOGRAFICO
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-Cavallaro G.,e coll.:"Utilità della colla di fibrina umana a due componenti nella stabilizzazione di suture vascolari a rischio in emodializzati " Min.Chir., Vol.44 n.21, 2241\2244 15-11-89
Gastroenterology International
(vol . 10, suppl.3 p 877-878,1997)
Napoli 18 Luglio 2021
Dr. Alessandro Finelli MD - PhD
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Lavori non Pubblicati
Microchirurgia Sperimentale
Modello sperimentale per la realizzazione del linfedema agli arti posteriori nel ratto.
Finelli A., Persico M., Persico G., Gonzales E.*, Cozzolino S..*
Università degli studi di Napoli Federico II
Cattedra di chirurgia generale -V Divisione di Chirurgia Generale e Geriatrica.
Direttore: Prof: G. Persico Via S.Pansini 5 (80131) Napoli Tel. 081\7462754
*Settore biofarmacologico A.O. A.Cardarelli -Napoli-
SUMMARY
The reconstuctive microsurgery of the lymphatic vessels presents a lot of technical difficulties as that to use good experimental models to study surgical techniques. The authors propose experimental models in the rat to make a lymphedema at posterior paws. They have been used 21 female rats wistar; the tested variables are the body weight and size of rat’ s limbs. The latest variable has been monitored with water’s pletismometer 7150. The results have been analyzed with T-Student test to establish the levels of statistical significance (P) , and with correlation coefficient of Karl Pearson (R) to establish the association grade of the tested variables .
RIASSUNTO
La microchirurgia dei vasi linfatici presenta tra le tante difficoltà tecniche quella di non usufruire di modelli sperimentali validi per lo studio delle tecniche chirurgiche e delle evoluzioni tecnologiche proposte . Gli autori con tale studio propongono un modello sperimentale nel ratto con il quale si è realizzato uno stato linfedematoso agli arti posteriori di 21 ratti Wistar di sesso femminile . Le variabili utilizzate per la verifica dello studio sono state il peso corporeo e la volumetria degli arti posteriori degli animali da esperimento . Quest’ultima variabile è stata monitorata utilizzando un dispositivo ad acqua (water’s pletismometer 7150) . I risultati sono stati analizzati utilizzando il T-test di Student (P) per la definizione dei livelli di significatività statistica ed il coefficiente di correlazione di Karl Pearson (R) per definire il grado di associazione tra le variabili testate .
INTRODUZIONE
La microchirurgia dei vasi linfatici presenta delle grosse problematiche sia di ordine clinico che sperimentale (1-2). Tra queste ultime quella che maggiormente nel passato come nel presente impegna i ricercatori è la realizzazione di un valido modello sperimentale animale .(3) Quest’ultimo deve rispondere ai seguenti requisiti per essere considerato efficiente ed efficace : 1) basso costo , 2) facile realizzabilità ; 3) utilizzo di animali di piccola taglia ; 4) adeguamento alla vigente normative in materia di sperimentazione animale.(4) In letteratura si sono spesso riportati modelli sperimentali un cui si faceva ricorso all’utilizzo di animali di grossa taglia (il cane) per lo studio dei linfedemi (3-5-6). Taluni di tali modelli sperimentali bene si prestano a studi di fisiopatologia della linfostasi secondaria (7) [ attività contrattile dei vasi linfatici , tendenza dei vasi linfatici a formare circoli di collateralità in caso di linfedemi cronici etc.] o biofarmacologici . Più di recente (3-8) si è cercato di trasferire gli stessi modelli sperimentali proposti per animali di grossa taglia su quelli piccola taglia. Tale esigenza è nata alla luce della necessità di giungere ad un modello sperimentale che risponda ai requisiti sopra menzionati . Infatti l’utilizzo di animali di grossa taglia rende di facile esecuzione i modelli sperimentali proposti cosicchè essi risultano realizzabili anche da parte di chirurghi non dotati di grossa esperienza microchirurgica , tuttavia il loro utilizzo non è adeguato a realizzare modelli sperimentali di basso costo ed ottemperanti con facilità alla rigida legislazione che sul nostro territorio regolamenta la sperimentazione animale . Comunque da una revisione della letteratura sull’argomento si è potuto rilevare che i principali modelli proposti sono quelli di Danese (5) ed Olzewski (6) sul cane ripresi e proposti in tempi successivi rispettivamente sul coniglio e sul ratto da Campisi (8) e Wang (7) . Il primo modello sperimentale (5-8) è quello che meglio si presta allo studio delle tecniche di microchirurgia ricostruttiva dei linfatici per la terapia dei linfedemi secondari . Con tale modello sperimentale la creazione del linfedema agli arti posteriori degli animali da esperimento è realizzato sezionando un breve tratto dei collettori linfatici paracavali e\o interaorticocavali. Il secondo modello più adatto a realizzare linfedemi sperimentali in minor tempo e di maggiore entità si presta più allo studio delle alterazioni fisiopatologiche della linfostasi ed a studi biofarmacologici dei linfedemi. Quest’ ultimo modello sperimentale prevede la legatura periferica dei collettori linfatici eseguita in sede inguinale con una incisione circonferenziale dei tegumenti degli arti posteriori degli animali da esperimento . Per rendere più valido tale modello sperimentale viene proposta le sutura circonferenziale dei tegumenti al sottostante piano muscolare così da evitare , o per lo meno ritardare , la neovascolarizzazione linfatica collaterale che rappresenta il primo meccanismo fisiologico che si oppone alla linfostasi secondaria . Con il presente studio gli autori propongono un originale modello sperimentale sul ratto con cui si realizza uno stato linfedematoso agli arti posteriori degli animali da esperimento utile per monitorare i risultati che si possono ottenere con i vari approcci tecnico-microchirurgici dei vasi linfatici.
MATERIALI E METODI
Sono stati utilizzati per lo studio 21 ratti Wistar di sesso femminile , età media 5,3 mesi DS + 1,46 (range 3-7 mesi ) e dal peso medio di 293,7 gr. DS + 31,8. Tutti i ratti sono stati mantenuti a dieta standard per l’intera durata dello studio la cui durata media è stata di 56,8 DS + 53,3 giorni (range 14-156 gg.). La realizzazione del linfedema agli arti posteriori degli animali da esperimento è stata realizzata ricorrendo alla tecnica di Danese e Campisi (2-5-8) modificata . Tutta la sperimentazione è stata eseguita nel pieno rispetto di quanto raccomandato dal C.I.OM.S (Council For International Organization of Medical Sciences ) e dal d.L.vo 116\92 (4) in materia di sperimentazione animale. Pertanto tutti i ratti sono stati sottoposti a profilassi antibiotica con benzilpenicillina od ossitetraciclina (7000 UI\100 gr. di peso corporeo ) somministrata intramuscolo in unica dose 30 minuti prima dell’intervento ( very short term therapy ) ; inoltre ogni procedura arrecante dolore agli animali da esperimento è stata eseguita in anestesia generale indotta con xilazina (0.05 ml. x 300gr. di peso corporeo = 7 mg. \kg.) e Ketamina ( 0.1ml x 100 gr. di peso corporeo = 60 mg.\Kg.) e mantenuta con dosi supplementari degli stessi farmaci pari al 50% della dose starter ogni 60 minuti intramuscolo . In anestesia generale si è dunque proceduto, a laparotomia xifo-pubica, identificazione nel retroperitoneo i collettori linfatici paracavali , paraortici e\o interaortico-cavali (generalmente in numero di due) e loro legatura (senza sezionarli come invece è previsto dai precedenti modelli sperimentali) con filo non riassorbibile intrecciato(seta 7-8 zero) . Prima dell’intervento ed al momento della verifica dei risultati i ratti sono stati pesati e la volumetria dei loro arti posteriori misurata con un dispositivo ad acqua ( water’s pletismometer 7150). Tutte la procedura è stata realizzata con l’ausilio di un microscopio operatorio della Zeiss (OPMI 99) utilizzando il minimo ingrandimento (0.6 gamma =5x). Il peso corpereo ed i valori pletismometrici degli arti posteriori dei ratti sono state le variabili dipendenti continue utilizzate per la verifica del modello sperimentale . I risultati sono stati analizzati utilizzando il T test di Student per la definizione dei livelli di significatività statistica (P) ed il coefficiente di Karl Pearson (R) per il grado di associazione tra le variabili .
RISULTATI
I ventuno ratti operati presentavano prima dell’intervento un peso medio di 293.2 DS + 31.8 gr. e valori pletismometrici agli arti posteriori destri e sinistri rispettivamente di 1.51 DS + 0.25 e 1.42 DS + 0.28 ml. La durata media dell’intervento è stata di 39,1 DS + 24.8 minuti e l’intervallo di tempo tra l’intervento (tempo T0) e la verifica dei risultati (tempo T1) di 56.8 DS +53.3 giorni ( range 14-154 giorni ). Al tempo T1 si è assistito ad un incremento medio del peso corporeo degli animali da esperimento (media 305.5 DS + 29.9 ) e dei valori pletismometrici agli arti posteriori in taluni casi raddoppiati di volume (dx media 1.56 DS + 0.39; sx media 1.46 DS + 0.33 ) anche se questo incremento non ha raggiunto i livelli della significatività statistica . (vedi TAB: I) Comunque un basso grado di associazione tra le variabili è stato riscontrato tra le variabili peso ed i valori pletismometrici al tempo T1 (R=0.34).
DISCUSSIONE
Anche se i risultati riportati , in prima istanza , possono apparire deludenti se comparati con quelli della letteratura ; tuttavia osservando il grafico della distribuzione di frequenza dei rilievi pletismometrici degli arti posteriri dei ratti al tempo T1 (Fig.1) e confrontandolo con quello dell’intervallo di tempo T0-T1 (Fig.2) si può constatare che il maggiore incremento volumetrico delle zampe posteriri dei ratti si ottiene tra i 30 ed i 40 giorni successivi all’intervento per poi ritornare nella norma dopo i 90 giorni. Tutto ciò si spiega ammettendo che quello di 30-40 giorni è il tempo necessario per la realizzazione del linfedema con tale modello sperimentale : Dopo i 90 giorni lo stato linfedematoso tende a regredire per la neovascolarizzazione collaterale linfatica a carico del retroperitoneo come si è potuto rilevare sottoponendo a relaparotomia i ratti al tempo T1.
CONCLUSIONI
Con tale studio gli autori propongono un utile modello sperimentale nel ratto per lo studio delle tecniche microchirurgiche sui vasi linfatici . L’utilità di tale modello risiede nel fatto che possono essere utilizzati animali di piccola taglia per creare un linfedema degli arti posteriri ;nella facilità di esecuzione e monitoraggio dei risultati nonchè nel basso costo della procedura. Lo svantaggio risiede nel fatto che la metodica prevede che ulteriori procedure microchirurgiche da sperimentare sui vasi linfatici vadano eseguite nella stessa sede dove si è proceduto alla legatura dei collettori linfatici.Tutto ciò per non inficiare il monitoraggio pletismometrico previsto dal modello sperimentale con interventi eseguiti su strutture linfatiche più periferiche e per procedere alla interruzione di quella neovascolarizzazione linfatica collaterale del retroperitoneo che tende ad annullare l’atto operatorio primario. Altro ovvio limite di tale modello è la necessità di intervenire sulle strutture linfatiche solo nel ristretto range di tempo dei 30-40 giorni successivi alla legatura dei collettori linfatici poichè prima dei 15 giorni non si è dimostrato realizzarsi un sufficiente stato linfedematoso a carico degli arti posteriori e dopo i 90 giorni la neovascolarizzazione linfatica collaterale ne ha già determinato la regressione . Tuttavia da altro canto il modello sperimentale ben si presterebbe per lo studio biofarmacologico di sostanze medicamentose che possono accelerare od ritardare tale neogenesi vascolare linfatica
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ADDRESS AUTHOR: DR. ALESSANDRO FINELLI VIA ARENACCIA 128 (80141) NAPOLI TEL. 081\7807943
Neaples 18 April 2021
Alexandrt Finelli MD - PhD
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Microchirurgia Sperimentale
La colla di fibrina quale collante biologico utilizzato per il confezionamento delle microanastomosi linfatico -venose . Studio sperimentale controllato nel ratto.
Finelli A., Persico M., Persico G., Gonzales E.*, Cozzolino S..* D'Armiento F.P. **
Università degli studi di Napoli Federico II
Cattedra di chirurgia generale - V divisione di chirurgia generale e geriatrica.
Direttore : Prof: G. Persico Via S.Pansini 5 (80131) Napoli Tel. 081\7462754
*Settore biofarmacologico A.O. A.Cardarelli -Napoli-
**Istituto di Anatomia ed Istologia Patologica: Direttore:Prof.A.Cali'
SUMMARY The authors show their experience on use of fibrin sealant to realize lymphatic-venous anastomoses . Twenty-one female rats have been used for the study; after making a lymphedema at the back paw of the animals binding lymphatic paracaval vessels , the investigators have reconstructed lymphatic vessels with autografts of superficial inguinal epigastric [ postero] inferior vein. Ten rats are the controls with anastomoses made without glue, eleven rats are the treated with anastomoses made with fibrin glue. Results of the study show that venous autografts made with fibrin sealant have a higher patency index than venous autografts made without glue. This work shows utility and profit of the use of fibrin sealant to make limphatic -venous anastomoses.
RIASSUNTO
Gli autori presentano la loro esperienza sull’uso della colla di fibrina per la realizzazione delle anastomosi linfatico-venose . Per lo studio sono stati utilizzati 21 ratti Wistar di sesso femminile; dopo aver realizzato un linfedema secondario ai loro arti posteriori, legando i collettori linfatici paracavali , la ricostruzione dei vasi linfatici è stata eseguita con un autograft di vena epigastrica superficiale inferiore. In 10 ratti (i controlli) le anastomosi sono state eseguite senza collante biologico, mentre in 11 ratti ( i trattati ) le anastomosi sono state eseguite con la colla di fibrina. I risultati dello studio depongono per un maggiore tasso di pervietà degli autoinnesti venosi eseguiti con la colla di fibrina dimostrando così la validità ed efficacia del prodotto Inoltre con il suo uso le microanastomosi linfatico-venose risultano tecnicamente più agevoli da eseguire; infatti nei ratti trattati il tempo necessario per la loro esecuzione è stato significativamente inferiore rispetto ai controlli.
INTRODUZIONE Da parecchi anni si discute sulla validità dell’utilizzo dei collanti biologici in chirurgia. Parecchi sono i materiali proposti nel corso degli anni e numerosi sono i campi di applicazione . Ancora oggi non esiste un biomateriale che risponda a pieno ai requisiti ideali per una sicura applicazione clinica. Tra le caratteristiche più salienti che dovrebbero rendere valido per la applicazione clinica un tale prodotto vanno annoverate: (1) 1 1) La buona capacità adesiva del prodotto intesa come proprietà saldante (cicatrizzante) tessutale. 2) La biocompatibilità intesa come inerzia tessutale ovvero la scarsa tendenza a dare fenomeni di istotossicità quali la reazione granulomatosa da corpo estraneo, e dunque una buona bioriassorbibilità. 3) La compliance intesa come elasticità conferita ai tessuti saldati. 4) La capacità emostatica. Tra i prodotti sperimentati nel corso degli anni ricordiamo gli acrilati , i quali essendo prodotti di sintesi sono dotati di scarsa biocompatibilità e nessuna capacità emostatica. Più di recente sono stati introdotti nella pratica clinica i collanti biologici che presentano caratteristiche più attinenti ai requisiti di un buon collante tessutale. Tra questi quello che ha riscontrato maggiori consensi in ambito clinico è certamente la colla di Fibrina . Numerosi consensi tale biomateriale ha ottenuto nella sua applicazione clinica in chirurgia addominale per eseguire l’emostasi di trance di sezione di organi parenchimatosi e\o per solidarizzare anastomosi digestive eseguite sia con tecnica tradizionale manuale che con l’utilizzo delle cucitrici meccaniche (2-3-4-5). Controversie esistono ancora circa il suo utilizzo clinico in chirurgia vascolare per il confezionamento della anastomosi vascolari : Qui il presupposto del suo utilizzo è quello di confezionare anastomosi con la apposizione di un minor numero di punti così da conferire alla anastomosi una maggiore compliance riducendone il tasso di incidenza di stenosi e\o trombosi a breve e lungo tempo(6-7-8). Il suo utilizzo in chirurgia vascolare potrebbe essere esteso a quei pazienti nei quali le anastomosi per una diatesi ipocoagulativa tendono a dare emorragie, in questo caso la proprietà emostatiche del prodotto permettono di ovviare alla grave complicanza.
Tutti i sopramenzionati requisiti stimolano l’utilizzo del collante in microchirurgia vascolare dove maggiormente si sente l’esigenza di ricorrere ad ausili tecnici e\o tecnologici che rendano l’atto operatorio più agevole e nel contempo più sicuro ed efficace :(6-7-8-9-10). Da qui ne è derivato l’intento di utilizzare il materiale per il confezionamento delle microanastomosi linfatico-venose nella chirurgia ricostruttiva dei vasi linfatici. (6-11-12). Negli anni 90 la colla di fibrina in commercio era disponibile nella forma a due componenti (1-3) ; il primo componente o collante è costituito da Fibrinogeno, Fattore XIII e plasmoproteine (albumina e crioglobuline ovvero globuline insolubili al freddo (- 4 °); mentre il secondo componente o sostanza indurente (catalizzatore ) è costituito da una miscela di trombina e CaCl2 (calcio cloruro). Ad uno dei due componenti , generalmente il primo , viene aggiunto un inibitore della fibrinolisi: Aprotinina (20-100UIK\ml) per ritardare i fenomeni di riassorbimento del coagulo formatosi dalla miscelazione dei due componenti . La miscelazione dei componenti avviene al momento della applicazione del prodotto che si realizza con una siringa Duplojet. La velocità di formazione del coagulo varia in funzione della concentrazione di trombina utilizzata [100-500 UNIH\ml]; pertanto maggiori sono le sue concentrazioni e più rapidamente si forma il coagulo di fibrina. Anche le proprietà emostatiche del prodotto sono direttamente proporzionali alla quantità di trombina utilizzata . Malgrado i campi di applicazione della colla di fibrina tendevano sempre più ad ampliarsi [ in neurochirurgia per la realizzazione delle neurorrafie (14-15-16) , chirurgia plastica per la realizzazione di innesti e\o lembi cutanei , ritidectomie , lipectomie addominali , trattamento delle ustioni e delle lesioni dstrofiche degli arti ad eziologia vasculogenetica (17-18-19-20-21-22) ], l’obiettivo dello studio presentato è quello di verificare con una sperimentazione controllata sul ratto la validità dell’utilizzo di tale collante biologico per il confezionamento delle microanastomosi linfatico-venose nella microchirurgia dei vasi linfatici ; austico campo di applicazione della microchirurgia vascolare. Lo Studio inoltre può rappresentare valido esempio ovvero modello sperimentale per la verifica della efficacia clinica di nuovi collanti biologici introdotti nella più recente pratica clinica.
MATERIALI E METODI
Sono stati utilizzati 21 ratti wistar di sesso femminile ed età compresa tra i 3 ed i 7 mesi di vita (media 5,3 mesi DS+ 1,46) , dal peso medio di 293,2 gr. DS +31,8. Lo studio è stato articolato in 3 fasi o tempi operativi ; il primo tempo (T0) ha previsto la realizzazione di un linfedema secondario agli arti posteriori degli animali da esperimento tramite la legatura dei collettori linfatici paracavali (tecnica di Danese modificata) , interaorticocavali e\o paraortici con un filo di sutura intrecciato non riassorbibile (seta 7-8 zero). Tutte le fasi o tempi della sperimentazione sono state eseguite attenendosi alle raccomandazioni in materia di sperimentazione animale del C.I.OM.S. (Council for International Organization of Medical Sciences) e nel rispetto della vigente legislazione [ D.L vo.116\92 ] (23). Pertanto tutte le procedure arrecanti dolore agli animali da esperimento sono state eseguite in anestesia generale indotta con Xilazina ( 0,05ml x 300gr. di peso corporeo = 7mg. \kg.) e Ketamina ( 0,01 ml x 100 gr. di peso corporeo = 60 mg.\ kg.) e mantenuta con dosi supplementari degli stessi farmaci pari al 50% della dose starter intramuscolo ogni 60 minuti. Le variabili testate ai fini della verifica dello studio sono state il peso corporeo dell’animale da esperimento e la volumetria dei loro arti posteriori misurati con un dispositivo ad acqua (water’s pletismometer 7150) . Le varie fasi della sperimentazione sono state condotte con l’ausilio di un microscopio operatorio (OPMI Zeiss 99) che consente ingrandimenti dai 5x (0.6 gamma) ai 15x (1,6 gamma ). I ratti prima degli interventi sono stati sottoposti a profilassi antibiotica ( very short term therapy) con benzilpenicillina od ossitetraciclina (7000 UI\100 gr. di peso corporeo ) in unica dose 30 minuti prima dell’intervento intramuscolo. L’uso della ossitetraciclina si è reso necessario negli animali da esperimento trattati con il collante biologico per non interferire con il tempo di formazione del coagulo (ritardarlo) come riportato in letteratura (1). Per la realizzazione del tempo T0 è stato sufficiente utilizzare il microscopio operatorio al minimo ingrandimento di 5x . Il secondo tempo della sperimentazione (T1) ha previsto la suddivisione dei ratti in due gruppi : il primo gruppo è rappresentato dai ratti di controllo ( 10 ratti dal peso medio di 306.9 gr. DS+ 30,3 al T0 e 294,6 gr. al T1) nei quali il drenaggio linfatico è stato ristabilito sezionando i collettori linfatici legati al tempo T0 e ripristinando la continuità anatomica del circolo linfatico interponendo tra i collettori linfatici prossimali e distali un autograft di vena epigastrica inferiore prelevata in regione inguinale bilateralmente ; il secondo gruppo è rappresentato dai ratti trattati ( 11 ratti dal peso medio al T0 di 280,9 gr.DS + 29,1 ed al T1 di 315,5 gr. DS + 26,18 ) nei quali le microanastomosi linfatico-venose eseguite per il confezionamento degli autografts venosi sono state eseguite con l’ausilio della colla di fibrina . In entrambi i gruppi di studio la tecnica adottata per la esecuzione delle microanastomosi linfatico-venose è stata quella per inosculamento dei collettori linfatici nell’innesto di vena autologa .(22-24-25-26-27-28) Tale tempo operatorio è stato eseguito con l’ausilio del microscopio operatorio utilizzandone il minimo ingrandimento (5x) per l’isolamento e preparazione della vena epigastrica e dei collettori linfatici mentre il massimo ingrandimento (15x) è stato utilizzato per il confezionamento della microanastomosi linfatico-venose . Trattandosi di anastomosi T-T non è stato necessario utilizzare la sonda guida di Degni (28) mentre si è sempre ritenuto utile esplorare la vena prelevata all’inguine alla ricerca di valvolazioni che potrebbero ostacolare il linfodrenaggio ( mai ritrovate nella nostra esperienza ) . Comunque l’autograft è stato sempre eseguito con vena invertita ovvero anastomizzando la vena ai collettori linfatici secondo la fisiologica direzione del flusso linfatico. La terza ed ultima fase dello studio ha previsto il sacrificio degli animali da esperimento ed il prelievo degli autografts a distanza di 15 giorni (T2) o 30 giorni (T3) dal precedente tempo della sperimentazione . La verifica della pervietà degli autoinnesti ( segno indiretto della funzionalità della microanastomosi ) è stata eseguita , preliminarmente , direttamente al microscopio operatorio in vivo ai tempi T2-T3 (29). I risultati dello studio sono stati analizzati utilizzando il test del chi quadrato ed il test T di Student per definire i livelli di significatività statistica (P) ddello studio , mentre il grado di associazione delle variabili testate e stato calcolato tramite il coefficiente di correlazione di Karl Pearson (R) trattandosi di variabili dipendenti dal caso e dunque continue e non discrete (30-31).
RISULTATI
I ratti utilizzati per lo studio al tempo T0 presentavano un peso medio di 293,2 gr. DS+31,8 e valori pletismometrici medi delle zampe posteriori rispettivamente destre e sinistre di 1,51ml DS + 0,25 ed 1,42 ml DS + 0,28. Al tempo T1 il peso dei ratti è risultato di 305,5 gr. DS + 29,9 ed i valori pletismometrici delle zampe posteriori destre e sinistre rispettivamente di 1,56 ml DS 0,39 ed 1,46 ml DS 0,33 . Pertanto si è assistito ad incremento del peso medio e della volumetria degli arti posteriori [anche raddoppiati di volume], variabili dipendenti dal caso che al tempo T1 hanno dimostrato avere un basso grado di associazione (R=0,34), (stato linfedematoso ) anche se non vengono raggiunti i livelli di significatività statistica: La durata media dell’intervento al tempo T0 è stata di 39,1 minuti DS + 24,8 mentre la durata degli interventi al tempo T1 è stata in media di 119,2 min. DS + 46,8. Confrontando la durata media degli interventi eseguiti nei due gruppi di ratti al tempo T1 ( controlli 160,1 min. DS + 29,6 trattati 82,1 min. DS + 20,6) si rileva una differenza statisticamente significativa (P value minore di 0.05) tra i due gruppi ad indicare che l’utilizzo del collante biologico rende tecnicamente più agevole l’esecuzione delle microanastomosi linfatico-venose. Al tempo T2-T3 dello studio i ratti hanno presentato un peso medio di 303,4 gr. DS + 32,4 e valori pletismometrici rispettivamente alle zampe posteriori destre e sinistre di 1,48 ml DS + 0,32 e 1,31 ml DS + 0,34. Questi risultati evidenziano un decremento del peso corporeo e del linfedema indotto sperimentalmente agli arti posteriori dei ratti. Tale decremento del peso corporeo è statisticamente significativo nei ratti in cui le microanastomosi linfatico-venose sono state realizzate con il collante biologico(P=0.023 minore di 0.05), mentre non è statisticamente significativo nei ratti di controllo. Diversi sono i risultati quando si valuta l’altra variabile analizzata ossia i valori pletismometrici delle zampe posteriori ; infatti si assiste ad un decremento del linfedema nei ratti dopo l’autoinnesto di vena ma questo non raggiunge i livelli di significatività statistica nei due gruppi di studio : ( vedi TAB:I) Tuttavia risulta interessante constatare che sussiste una differenza statisticamente significativa nel decremento del linfedema dei ratti la cui rilevazione pletismometrica è stata compiuta prima del prelievo dell’autoinnesto al tempo T3 (30 giorni dopo T1) rispetto a quelli il cui prelievo è stato eseguito al tempo T2 (15 giorni dopo T1): (TAB:II) La durata media degli interventi al tempo T2-T3 è stata di 19,04 min. DS + 7,9 ed anche in questo caso si è riscontrata una significativa differenza nella durata del tempo necessario per il prelievo degli autoinnesti tra i ratti in cui il confezionamento dell’autograft è stato eseguito con e senza l’ausilio del collante biologico. Il tempo impiegato per il prelievo dell’autoinnesto nei ratti di controllo è stato di 22,8 min. DS + 7,9 mentre nei ratti in cui è stato usato il collante biologico è stato di 15,6 min. DS + 6,39 (P=0.03 minore di 0.05) Infine da una preliminare valutazione della pervietà degli autoinnesti eseguita direttamente al microscopio operatorio al momento del prelievo si è potuto rilevare una pervietà degli autoinnesti eseguiti con il collante biologico del 81% contro il 40% (P minore di 0.05) di pervietà dei controlli (vedi TAB:III).
DISCUSSIONE
Dalla analisi dei risultati dello studio emerge che l’uso del collante biologico sperimentato rende tecnicamente più agevole l’esecuzione delle microanastomosi linfatico-venose. Difatti esiste una differenza statisticamente significativa (P minore di 0.05) tra la durata media del tempo impiegato per confezionare gli autografts venosi senza e con l’ausilio della colla di fibrina in cui si registra una durata media inferiore del tempo di intervento . Bisogna considerare che tutti gli interventi sono stati eseguiti dallo stesso sperimentatore. L’utilizzo del collante biologico oltre che fornire dei vantaggi tecnici consente anche di ottenere risultati clinici significativamente migliori ovvero più efficaci; infatti nei ratti in cui si sono confezionate microanastomosi linfatico-venose con l’ausilio del collante biologico si è riscontrato un decremento del linfedema indotto sperimentalmente agli arti posteriori statisticamente significativo (P minore di0.05) quando i risultati vengono valutati a lungo termine (oltre i 30 giorni). Lo stesso risultato si è ottenuto valutando il tasso di pervietà degli autoinnesti(segno indiretto di funzionalità delle microanastomosi) il quale è stato significativamente migliore nei ratti trattati (P minore di 0.05). Infine ad indicare che il collante biologico sperimentato induce un più rapido e fisiologico processo di cicatrizzazione tessutale c’e da considerare il minor tempo occorso per il prelievo degli autografts venosi al tempo T2-T3 nei ratti trattati . In questi casi l’uso del collante ha consentito una minore reazione desmoplastica nel retroperitoneo dove è stato più facile eseguire il prelievo rispetto ai controlli . Ulteriori informazioni si potranno ottenere con l’ulteriore studio istologico al M.O.(microscopio ottico ) ed al M.E.S.( microscopio elettronico a scansione ) degli autoinnesti venosi . I risultati di tale valutazione istologica (ancora in corso di studio) , potranno fornire informazioni anche sulle differenze qualitative tra anastomosi linfatico-venose realizzate con e senza l’ausilio della colla di fibrina .
CONCLUSIONI
Gli autori con questo studio controllato sul ratto hanno potuto verificare i vantaggi tecnici e clinici apportati dall’uso della colla di fibrina nell’ostile campo della microchirurgia ricostruttiva dei vai linfatici . I risultati dello studio mostrano come l’utilizzo di questo collante biologico rende più agevole l’esecuzione di anastomosi linfatico-venose , atto operatorio dotato di intrinseche difficoltà tecniche , e come ne migliora i risultati funzionali a distanza. Un più approfondito studio istologico potrà in futuro fornire ulteriori risultati a supporto di quanto rilevato con lo studio presentato.
Napoli 18 Aprile 2021
F.to Dr. Alessandro Finelli MD-PhD
All Rights Reservad
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ADDRESS AUTHOR: DR. ALESSANDRO FINELLI VIA ARENACCIA 128 (80141) NAPOLI TEL. 081\7807943
Impact Work Part 1
Unipegaso 1965
Dr.FINELLI Alessandro
IL TRATTAMENTO MICROCHIRURGICO DEL VARICOCELE IDIOPATICO : INDICAZIONI E NOTE DI TECNICA.
RIASSUNTO
La indicazione al trattamento microchirurgico del Varicocele idiopatico o primitivo scaturisce da una accurata selezione dei pazienti basata su dati clinico-strumentali ; inoltre l'Autore propone originali modifiche tecniche per ottenere una migliore correzione della affezione sulla base di ben codificati principi emodinamici.
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INTRODUZIONE
Per varicocele primitivo od idiopatico intendiamo una condizione anatomo-patologica caratterizzata da allungamento, dilatazione e tortuosita con alterazioni patietali [diselastosi] delle vene funicolo-scrotali che concorrono al drenaggio testicolare. Gia nei 1888 un chirurgo inglese (Barfield) ipotizzò il suo ruolo etiologico in casi di infertilita maschile, ma solo nei 1952 Tulloch [1] dimostrò la reale connessione tra le due situazioni ripristinando la spermatogenesi in soggetti affetti da varicocele idiopatico . Infine nel 1968 Macleod [2-3] evidenzò le alterazioni del liquido seminale in pazienti con varicocele idiopatico. Il Varicocele idiopatico o primitivo va distinto Nosologicamente da quello secondario ad altre patologie Per la maggiore neoplastiche con infiltrazione di vene [ Ca Rene sinistro – Neoplasie che infiltrano la vena cava inferiore etc..] La sua risoluzione con tecnica microchirurgica era stata proposta per la prima volta negli anni 70 da Ishigami [4]. Negli anni 80 gli studi flebografici di Coolsaet [5] hanno permesso la comprensione delle alterazioni del drenaggio venoso testicolare che sembrano sostenere tale affezione. Sulla base di tali studi è stata eseguita una classificazione etiopatogenetica del varicocele che ha stimolato i chirurghi a riproporre il trattamento microchirurgico [1-10].
MATERIALI E METODI
L’autore nel presente editoriale prenderà in considerazione la classica letteratura scientifica recensita vertente su tale materia oggetto di ardite dispute e diatribe letterarie vertenti soprattutto su principi emodinamici posti a fondamento dei momenti eziopatogenetici della affezione. La diagnosi in quasi tutti i casi viene posta sulla scorta dei dati clinico¬ laboratoristici (spermiogramma, testosterone, FSH,LH sierici )eseguiti per casi di infertilità e\o ipofertilità di coppia ovvero dati strumentali (velocimetria doppler)eseguiti nel passato a seguito di riscontro diagnostico alla visita della ferma di leva. In numerosi casi si tratta di varicocele recidivo dopo interventi di legatura e sezione alta della spermatica interna [11-12] anche se eseguiti con infusione di atoxisclerol al 2% nel moncone prossimaie anatomico o funzionale [ caudale –Palomo Dos Santos- e\o craniale –Ivanissevich- ]della stessa vena. I pazienti sono selezionati in prima istanza sulla basa di tali rilievi clinico- strumentali; infatti in tutti questi pazienti si apprezza un varicocele di vario grado classificato bene sec. Resnich [13] I Grado (ectasia vascolare testicolare di 2 o più cm. con cospicua dilatazione delle vene scrotali che induce al sospetto di un Nutcracker basso e dunque di un varicocele di tipï II o III che non si avvale degli interventi di legatura alta. Il sospetto clinico viene in molti casi avvalorato dai reperti velocimetrici di incontinenza dell'ostio safeno-femorale omolateralmente. Tutti i pazienti recidivi andrebbero sottoposti a flebografia per via transfemorale [14] al fine di studiare le sede dell'alterazione del drenaggio venoso testicolare e cosi classificar il tipo di varicocele sec. Coolsaet [5]. In numerosi pazienti (36%) con varicocele recidivo tale situazione è sostenuta dal persistere di un reflusso reno-spermatico (nutcracker alto) determinato da vene spermatiche accessorie e/o collateralità'. In questi pazienti si può ricorre alla classica derivazione safeno-pampiniforme come proposto da Fox e Persico negli anni 80 [6-7]. Dubbi sono i risultati ottenuti con altre tecniche Microchirurgiche proposti negli anni 80/90 dalle scuole Romane di Di Matteo et Ortensi come da essi stessi riconosciuto Pubblicamente. Scarsa e pericolosa risulta la utilità clinica di tali tecniche di microdissezione e legatura intrafunicolare delle numerose vene ectasiche del plesso pampiniforme anteriore tributario della vena spermatica esterna e posteriore tributario della vena spermatica interna .[16] La tecnica risulta pericolosa in quanto statisticamente significativo risulta il rischio relativo di ischemia anossica testicolare da legatura della arteria testicolare malgrado l’ausilio di stistemi ottici di ingrandimento. Inoltre la tecnica va considerata pericolosa per il rischio di legatura dei vasi linfatici responsabili del drenaggio linfatico testicolare con formazione di idrocele non comunicante. Infine tale tecnica risulta inefficace essendo spesso numerose le vene ectasiche patologiche dei plessi pampiniformi la cui totale legatura en bloc può cagionare anossia stagnante testicolare. Sempre negli anni 90 sono venute alla ribalta le suggestive tecniche , anche esse da considerare di appannaggio del microchirurgo ben formato, di varicocelectomia videoassistita o meglio laparoscopica. Tecnica sia pur suggestiva tuttavia costosa in quanto necessita di materiali più costosi e non eseguibile in anestesia locale come le tecniche di microdissezione testicolare et derivative nonché poco utile clinicamente in quanto eseguibile solo da microchirurghi esperti in chirurgia laparoscopica. Bisogna osservare che pazienti con varicocele recidivo quando presentano un nutcracker alto e basso sono sec Coolsaet classificati come tipo III. In tali casi la derivazione safeno-pampiniforme non ha senso logico considerata la presumibile ipertensione vigente nei circoli safenici di tali pazienti; questa opponendosi all'iperdeflusso testicolare spesso inficia la riuscita della microanastomosi. Sono questi presupposti emodinamici quelli determinanti i principali casi di insuccesso delle tecniche derivative microchirurgiche di trattamento del varicocele primitivo e\o recidivo. Si deve qui ricorre ad una anastomosi termino-laterale tra vene spermatica interna ed epigastrica inferiore previa legatura di quest'ultima a monte dello sbocco della spermatica esterna (Belgrano modificata). In vero risulta evenienza rara riscontrare una spermatica Esterna drenante il plesso pampiniforme anteriore nella Vena epigastrica inferiore. Più frequente risulta il suo sbocco all’anello inguinale esterno nella vena epigastica superficiale che con la circonflessa iliaca superficiale e la pudenda esterna concorre alla formazione della crosse safenica. Non rari sono i casi in cui concorrono alla formazione della crosse safenica due rami venosi accessori posti sotto la fascia dello Scarpa dagli anatomici esperti identificati nelle vene circonflesse iliache profonde laterale e mediale. Anche tali rami della crosse devono essere considerati dall’esperto microchirurgo vascolare in quanto essi possono tornare utili nel confezionamento delle derivazioni Safeno – panpiniformi che devono essere minimo tre per essere dichiarate emodinamicamente efficaci . In presenza dei rami profondi della crosse safenica il microchirurgo può eseguire fino a sei derivazioni. Scopo dell’intervento di Belgrano modificato invece è quello di ovviare al difficoltoso drenaggio venoso testicolare dirottando il sangue verso il torrente della vena mammaria interna come ampiamente dimostrato già da Belgrano [8-9-10]. I pazienti selezionati in prima istanza sulla base dei dati clinici e strumentali (velocimetria doppler) presentano con frequenza relativa che raggiunge i livelli della significatività statistica un varicocele recidivo di tipo III che viene trattato con la suddetta variante tecnica di microanastomosi tra vena spermatica interna ed epigastrica inferiore. I soggetti che presentavano insufficienza dell'ostio safeno-femorale inaspettatamente vengono di sovente classificati come affetti da varicocele di tipo I. In epoca passata tale situazione rappresentava controindicazione al trattamento microchirurgico con anastomosi safeno-pampiniforme a causa della ipertensione che si rileva in una safena il cui ostio è incontinente. L’autore anche in tali casi propone una originale soluzione al problema evitando che il paziente venga sottoposto a due interventi chirurgici eventualmente con un concomitante stress anestesiologico. Si è dunque proceduto in "anestesia locale” alla correzione dell'insufficienza dell'ostio safeno-femorale sec. tecnica C.H.I.V.A. [15]¬ così da negativizzare la pressione nella safena e nelle collaterali che sboccano alla sua crosse, dopodichè si è proceduto al confezionamento di tre o più microanastomosi tra vene dei plessï pampiniformi e la safena e le sue collaterali (epigastricá superficiale- golfo della crosse - circonflessa iliaca superficiale – circonflessa profonda laterale).
RISULTATI
Tutti i pazienti vanno sottoposti a controlli clinico-strumentali e laboratoristici a 6 e 12 mesi dall'intervento. I pazienti sottoposti a derivazione safeno-pampiniforme generalmente presentavano ai controlli un miglioramento clinico del varicocele e dello spermiogramma ; in tutti i pazienti trattati con tecnica microchirurgica prima dei 15 anni di età si rileva un miglioramento dello spermiogramma statisticamente significativo se non sussistono altre affezioni endocrine e\o testicolari [ criptorchidia etc… ] Da ciò si deduce che le indicazioni al trattamento microchirurgico del varicocele scaturiscono da una accurata selezione dei pazienti basata sulla clinica e sui riscontri flebografici al fine di classificare il tipo di varicocele ¬ conoscere la anatomia della struttura su cui si andrà ad operare ed eseguire una correzione emodinamica della patologia ¬ presupposti essenziali per ottenere gli ottimi risultati che tali tecniche sortiscono. Le principali indicazioni comunque rimangono il varicocele recidivo ed i casi di varicocele primitivo di grado avanzato in cui sussiste un nutcracker alto e\o bassu (tipo II-III anast.spermatico-epigastrica) od un solïtario nutcracker alto flebograficamente documentato (tipï I anast. safeno-pampiniforme)..
CONCLUSIONI
L’autore sulla base delle sue esperienze prende in disamina il trattamento microchirurgico del varicocele idiopatico. Tale tipo di chirurgia dopo iniziali entusiasmi legati soprattutto agli ottimi risultati ed ai presupposti di fisiopatologia sui quali si agisce, è negli ultimi anni entrata un poco in disuso evidentemente per la difficoltà tecnicha (anche se lieve) di esecuzione e forse per la non ancora completa definizione delle indicazioni. L’autore ripropone tale tipo di chirurgia codificandone le indicazioni ed invitando ad un ampliamento di queste ultime grazie all'apporto di piccole modificazioni tecniche dettate dall'esigenza di operare nel rispetto di sanciti principi emodinamici. A nostro avviso non rappresenta più controindicazione all'anastomosi safeno-pampiniforme l'incontinenza isolata dell'ostio safeno-femorale omolaterale al varicocele. Questa Frequente condizione clinica può essere affrontata con efficacia Terapeutica con un concomitante trattamento CHIVA. Unico inconveniente per le larga applicazione di tale trattamento rimane á tutt'oggi le necessità dello studio flebografico del drenaggio venoso testicolare con le sua invasività malgrado la possibilità di esecuzione in day-hospital ed in considerazione della scarsa attendibilità diagnostica della velocimetria doppler spesso in tale campo di applicazione affidata ad equivoche manovre emodinamiche manuali laddove non sono ammessi margini di errore nella indicazione a tali tecniche
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4- www.siu.it
5- www.sigo.it
REVIEW
Le Timectomie per Miastenia Grave :
Tecniche Chirurgiche a Confronto.
Studi sperimentali in fase III
per la Verifica della efficacia clinica della Chirurgia.
Summary:
The author with this review propose a multivariate meta analysis to value clinic efficiency of traditional and new surgical techniques for MG [ Myasthenia Gravis ]Therapy. The Techniques have been confronted verifying few and essential dependent variables or casual and continued variables as postoperative complications,Remission of disease, Hospital days and operative Times. Results today induce reserves on clinical efficiency of Thymectomies in this autoimmune disease that author considers a target to extender the surgery of thymus for a lot of other pathology that see in autoimmune reaction their pathogenetic moment.
Riassunto
L’autore con la presente review propone una metanalisi multivariata finalizzata a verificare la efficacia clinica dei tradizionali ed emergenti trattamenti chirurgici finalizzati alla terapia della miastenia Gravis. Le tecniche chirurgiche vengono poste a confronto verificando poche ed essenziali variabili dipendenti ovvero casuali e continue quali le complicanze postoperatorie , Remissione della malattia , i giorni di degenza ospedaliera ed i tempi operatori. I risultati inducono ancora oggi a porre riserve sulla efficacia clinica della Timectomia in tale patologia autoimmune che rappresenta un target per estendere la terapia chirurgica del Timo a numerose altre patologie che riconoscono nella reazione autoimmune il loro momento patogenetico.
INTRODUZIONE
L'evoluzione tecnologica che negli ultimi anni si è avuta nel campo della chirurgia videoassistita ha notevolmente modificato dal punto di vista epidemiologico la prognosi della patologia oncologica lì dove gli attesi negativi risultati non hanno smentito consolidati principi di tecnica chirurgica tradizionale. L' autore in questa sede intende evidenziare un difetto gnostico chirurgico che non sempre degenera in ortodossia tecnica di tale chirurgia la quale necessita di revisione e di modifiche tecniche onde adeguarsi soprattutto a quei principi cardini della Medicina e Chirurgia in Generale. Per la cura della Miastenia Gravis fra i vari trattamenti Medici e Chirurgici per anni , anche se con le rispettose riserve , ha trovato consensi la Timectomia. L’intervento tradizionale viene eseguito tramite accesso sternotomico pochi chirurghi nel passato propugnavano il più aggressivo approccio toracotomica antero laterale mentre numerosi autori propugnavano un trattamento diagnostico e terapeutico combinato tramite Mediastinoscopia. Con l’avvento delle tecniche videoassistite ovvero con la diffusione della Chirurgia Videotoracoscopica sono proprio questi ultimi chirurghi conservativi che stanno oggi riscontrando i maggiori successi. L’ accesso mediastinoscopico è certamente quello che si prevede ottenga i maggiori consensi proprio per la evoluzione tecnologica che sta ottenendo tale chirurgia videoassistita. La chirurgia videoassistita oggi è quasi sinonimo di chirurgia robotica ; dopo gli insuccessi del progetto Olympus ed il fallimento di Leonardo che trova applicazione in pochi tempi operatori della chirurgia urologica della prostata ed addominale pancreatica, in attesa dell’avvento del progetto Maia che consentirà al chirurgo di abbandonare i suoi joysticks di comando, il chirurgo moderno deve accontentarsi all’attuale stato dell’arte del VTA [ Video trial access ] che consente a Leonardo con un unico accesso di 33 mm di operare con tranquillità la ghiandola Timica anche tramite unico accesso mediastinoscopico. Nel contempo è obbligatorio verificare con valutazione comparativa quali vantaggi può apportare rispetto alle tecniche tradizionali tale moderna tecnologia applicata alla Chirurgia Toracica e continuare ad osservare quali benefici in termini di efficacia clinica tale Chirurgia può apportare nella cura della patologia della Ghiandola Timica spesso associata a gravissime patologie sistemiche autoimmunitarie.
Materiali e Metodi.
La metanalisi multivariata è stata effettuata su campioni di pazienti estratti dalla letteratura Scientifica internazionale recensita c\o banca dati Governativa Americana [ www.Pubmed.gov–Medline U.S National Library of Medicine – 8600 – Rochville Pike- Bethesda MD –20894- USA 1-8 ]. Si tratta di otto articoli che valutano campioni di pazienti retrospettivamente dal 1975 al 2010 . Gli articoli sono stati pubblicati tra il 1993 ed il 2017 ; la loro selezione non è avvenuta secondo preferenze dell’autore ma a Random per rendere dipendenti e dunque continue e don discrete le variabili analizzate . I dati estratti sono stati verificati ricorrendo al test del Chi quadrato [ Chi square test] ricordando che tale test analizza i numeri dei campioni e non le percentuali. Le tabelle di contingenza utilizzate per analizzare le variabili hanno da 1 a 9 gradi di Libertà . Quando i campioni sottoposti ad analisi inferenziale presentavano uno o più valori delle variabili inferiori a cinque il test veniva eseguito utilizzando il teorema di Yates ovvero applicando il coefficiente di correzione di Cochran [9-10] Dalla letteratura selezionata per articoli sono emersi 10 campioni di osservazioni a cui va aggiunto un ulteriore campione di studio dell’autore. Tale ultimo campionamento fa riferimento alla esperienza Personale dell’autore maturata dal 1987 al 1990 c\o la ex Clinica Chirurgica della Università Federico II di Napoli [ 50 posti letto e 1500 interventi annui] e successivamente dal 1990 fino al 1997 c\o la VII Divisione di Chirurgia Generale e Microchirurgia [15 posti letto x 500 interventi annui]della medesima facoltà di Medicine e Chirurgia presso l’Università Federiciana. Le variabili analizzate sono il tipo di approccio chirurgico per la aggressione della ghiandola Timica ; le complicanze intraoperatorie che le varie tecniche chirurgiche hanno determinato , il follow up a 12-48 mesi e 5 anni dei pazienti operati e mantenuti sotto osservazione clinica. Non per tutta la casistica è stato possibile analizzare altre due variabili considerate predittive per l’autore, ovvero la durata dei tempi operatori ed i giorni di degenza dei pazienti .
Risultati
Suggestivo e certamente di rilevanza scientifica risulta il lavoro di Agatsuma [1] ; l’Autore osserva tra il 1991 ed il 2010 c\o 31 istituzioni giapponesi 2835 pazienti affetti da Timoma. Seleziona retrospettivamente due campioni omogenei di 140 pazienti ciascuno sottoposti a Timectomia Video Toracoscopica od operati Tramite tecnica tradizionale [ Sternotomia] .Il Suo Follow up arriva a 5 anni per i pazienti sottoposti a Chirurgia Tradizionale. Le variabili da egli osservate sono le complicanze postoperatorie nei due gruppi di studio , la ripresa di malattia locale e la radicalità [ R0] dell’intervento. Dalla tabella III si evince che l’autore Giapponese riporta soltanto 8 complicanze nei pazienti sottoposti a VATS.
Nella sua casistica non riporta differenze statisticamente significative nella ricorrenza di malattia tra i due campioni confrontati, riferendo di un maggior numero di margini positivi nei pazienti sottoposti a Vats vs quelli operati con accesso sternotomico [ 3 VATS vs 1 ST] . La ripresa di malattia da egli riportata riguarda soprattutto i casi di disseminazione pleurica del Timoma per quanto il Timoma difficilmente per la sua crescita espansiva si rende responsabile di tale complicanza.Quando tuttavia andiamo ad analizzare i dati riferiti da Agatsuma [Tab V] possiamo osservare che il confronto tra campioni non omogenei rileva statisticamente significative differenze (p value minore di 0.001) tra i pazienti sottoposti a VATS nei quali si osservano 9 ricorrenze di malattia a 5 anni su 142 osservazioni ed i pazienti trattati con tecnica tradizionale dove rileviamo solo 27 riprese di malattia su 1267 osservazioni . Probabilmente agire a cielo aperto consente una maggiore radicalità del trattamento fattore predittivo ovvero variabile significativa ai fini della definizione della prognosi della affezione. Nella stessa chiave vanno osservatr ed interpretate le casistiche di Pompeo e Mineo [2-3] ; il primo riferisce di 8 pazienti refrattari alla terapia chirurgica tradizionale per MG non timomatosa ; nella sua casistica esigua per essere considerata di rilevanza scientifica la “conversione “ a tecnica video assistita avrebbe comportato in 2 pazienti complicanze postoperatorie attribuibili alla sospensione delle terapie mediche. La IOT [ Intubazione Orotracheale] dei paziente è da considerare una complicanza maggiore; comunque la ripresa di malattia nei pazienti non timomatosi non può essere attribuita a fallimento della tecnica Open e le complicanze respiratorie certamente non possono essere etichettate come chirurgiche .Il Lavoro di Pompeo riporta una degenza media dei pazienti di 4,75 giorni e ciò certamente non rappresenta la variabile di osservazione che può far considerare come efficace l’approccio toracoscopico per una probabilmente inutile revisione e totalizzazione chirurgica della pregressa Timectomia . Mineo c\o la stessa istituzione di Pompeo dal 1993 al 1997 osserva 31 pazienti affetti da miastenia autoimmune operati di timectomia Toracoscopica. Non riporta mortalità né morbilità nella sua casistica La degenza media dei pazienti è stata di 5.2 DS+2.8 giorni , il follow up di 39.6 DS+6 mesi. Venticinque pazienti sono in remissione di malattia a 48 mesi e la prognosi favorevole di malattia e correlata a remissioni precoci [ entro i 12 mesi] . Di Rilevante valore scientifico è anche la pubblicazione di Zielinski c\o la Università Polacca di Cracovia. [4] L’Autore riporta di 100 pazienti affetti da MG autoimmune non timomatosa ; 83 donne e 17 uomini di età compresa tra i 10 et 69 anni. L’esordio di malattia era da far risalire a circa 3 anni prima dell’intervento [ 2.73 anni range 1 mese –17 anni] .La sua brillante scuola propone un approccio combinato “Mediastinoscopico” giugulare e xifoideo con 1 o 2 Team operatori. Purtroppo la durata degli interventi è inaccettabile [ 140-170 min media 159.9 min con 2 Équipe ---150-270 min. media 199.41min con 1 équipe]. Riporta l’autore polacco mortalità zero ed un 15 % di morbilità . Foci residui di tessuto timico con la sua tecnica, inefficace dal punto di vista radicale, sono rilevati nel 71% dei pazienti [ 37% nel Grasso peritimico e 33 % c\o finestra Aorto Polmonare ---- sempre nella loggia timica sx…]. Quarantotto dei suoi pazienti giungono a 12 mesi di Follow-up con miglioramento [ 83.3%] o senza miglioramento [ 14.6 % ] mentre le loro Remissioni complete sono a 12 mesi del 18.8% [9/48] ed a 24 mesi del 32% [ 15/48]. Originale va considerato con certezza il lavoro di Kneuertz [5] il quale recentemente [2017] riferisce di 20 pazienti [15 donne e 5 uomini] con età media di 59 anni affetti da timomi dalle dimensioni mediane di 6 cm nei quali è stata eseguita la Timectomia Robotica . Nel 70% dei casi [ 14 pz] l’intervento è stato eseguito tramite approccio chirurgico dall’emitorace destro; il campione di studio è stato confrontato con 34 controlli costituiti da pazienti affetti da timomi dalle dimensioni di circa 6.7 cm [mediana] . Nei casi controlli si è reso necessario eseguire timectomie allargate con resezioni pericardiche , polmonari e del nervo frenico . Tale ultimo dato e la tendenza ad aggredire la ghiandola dal lato destro lascia desumere che il chirurgo era preoperatoriamente a conoscenza delle problematiche tecniche che avrebbe affrontato ed anche in tali casi che la neoplasia di n.d.d. la quale per dimensioni > a 5 cm e margini infiltrativi Timoma non dovrebbe essere considerato , tendeva ad infiltrare il mediastino di sinistro. Tale frequente riscontro lascia dedurre che trattasi di Lipo-Fibrosarcomi Timici che prendono origine dal lobo timico di sx il quale ultimo per motivi ancora oggi sconosciuti tende ad una involuzione ontogenetica scleroatrofica che dovrebbe terminare intorno al 21^anno di vita. Probabilmente fattori vascolari sono alla base di tale processo involutivo: stenosi desmoplastica dei peduncoli vascolari timici inferiori e superiore sinistro. Probabilmente quando ciò non si verifica comincia il processo cronico degenerativo della ghiandola la quale diventa preda di neoplasie mesenchimali erroneamente interpretate dai radiologi come iperplasie timiche ed associate a invalidanti patologie autoimmunitarie. L’autore riporta di un 15% di conversioni in sternotomie degli approcci Robotici in cui si verificavano solo 2 complicanze operatorie di contro le 8 complicanze verificatesi con approccio sternotomico. Con la chirurgia Robotica stranamente riferisce che sia stato necessario drenare il torace aggredito da destra con un solo drenaggio nello 85% dei casi mentre nelle sternotomie si è ricorso a più di un drenaggio nel 44 5 % dei casi. Meyer tra il 1992 ed il 2000 [6] osserva un campione omogeneo di pazienti affetti da MG e sottoposti a Timectomia Videotoracoscopica [VATS 48 pz] o a Timectomia Tradizionale [ ST 47 pz] .Complicanze operatorie hanno richiesto IOT e ventilazione assistita in 2 pazienti sottoposti a VATS ed in 7 pazienti operati con tecnica tradizionale. Il Follow up di 6 DS+4 anni per i pazienti sottoposti a VATS e di 4.3 DS+ 29 anni per i pazienti operati di ST riguarda solo lo 89.5 % del campione di studio. L’autore riferisce remissione stabile – completa e farmacologica della Malattia in 13 su 17 pazienti operati con VATS ed in 5 pazienti su 14 operati con ST. Non Accettabili sicuramente sono i tempi operatori e con riserva vanno considerati i tempi di degenza riportati con la sua casistica; riferisce infatti il Meyer di 128 DS+34 minuti in media occorsi per eseguire interventi VATS ed 119 DS+ 27 minuti in media per espletare interventi di ST. Per i primi la degenza media è stata di 1.9 DS+ 2.6 giorni mentre per i secondi è stata di 4.6 DS+4.2 giorni. Kattach Hassan [7] col suo lavoro del 2006 pubblica su 85 pazienti oggetto di osservazione dal 1987 al 1998 [ 65 femmine e 20 uomini di età media 30.5 anni]. Tutti i casi affetti da MG ed operati con tecnica tradizionale; 8 pazienti hanno avuto complicanze maggiori e 72 morbilità zero precoce e tardiva. Il loro follow up durato in media 4.5 anni [ range1-14 anni totale 376 anni di osservazione] ha evidenziato remissione della malattia in 63 pazienti divenuti Asintomatici senza trattamento medico. La remissione di malattia e\o il miglioramento della MG non si sono rilevati correlati a variabili dipendenti quali sesso, età dei pz, esordio di malattia , presenza di patologia timica o titolo di Anticorpi anti placca neuromuscolare[ Titolo Ab anti Ach Receptors]. Anche per tale autore la prognosi della malattia trattata, in termini di remissione e\o miglioramento, è funzione della latenza stessa dei tempi di remissione. Hanno prognosi migliore i casi di remissione ottenuti entro 1 anno dopo la Timectomia. Infine un encomio merita il lavoro proposto da Pagano e co. [8] del 1991 revisionato nel 1993 ; gli autori riportano di 46 pazienti affetti da MG osservati dal 1975 al 1991 con un periodo di 6 anni di follow up: probabilmente uno dei follow up più lunghi riportati in letteratura scientifica internazionale. Tutti i pazienti afferenti al campione di studio selezionato sono stati sottoposti a timectomia tradizionale tramite accesso sternotomico . La remissione di malattia si è ottenuta stabilmente in 31 pazienti operati [ 32.6 % ] inoltre solo tale casistica riporta di 4 casi in cui la MG è peggiorata a lungo termine. Nel campione di studio di Pagano e co. la TC mediastinica ha consentito la diagnosi di Timoma nello 85 % dei casi mentre risulta stranamente indagine non attendibile per la diagnosi differenziale tra Iperplasia ed Atrofia Timica. Nello studio dell’autore non figurano tra le variabili predittive la prognosi di malattia il sesso , la età , la severità e l’epoca di esordio della MG né l’intervallo di latenza occorso tra esordio della malattia e Chirurgia.
Discussione
A tale punto della trattazione in discussione bisogna analizzare i dati relativi alla esperienza dell’autore maturata nel corso di 10 anni di attività professionale c\o l’università degli studi di Napoli Federico II . Dal luglio 1987 al 1^ Novembre 1997 sono stati osservati 52 pazienti sottoposti a Timectomia. Tutti i Pazienti erano affetti da miastenia Gravis. L’algoritmo diagnostico prevedeva l’esecuzione di una EMG [elettromiografia ] con registrazione dei potenziali evocati nei soggetti che presentavano segni e sintomi miastenici;l’esito positivo dell’indagine imponeva una biopsia muscolare per evidenziare la patologia della placca neuromuscolare su base autoimmunitaria [ Auto Anticorpi anti placca ] . Alle biopsia Muscolare faceva seguito l’esecuzione di una TAC mediastinica con m.d.c. se il paziente risultava negativo alla presenza di proteina di Bence Jones nelle urine. In precedente Studio di Pagano e al. [8] variabili come l’esordio della malattia , sesso età severità della MG ed intervallo di latenza tra diagnosi e Timectomia tramite accesso sternotomico non sono stati individuati come fattori predittivi sia per la prognosi della malattia sia per la frequenza di insorgenza di complicanze operatorie . A tale ultimo scopo non sono state analizzate variabili determinanti per altri interventi come il peso e l’altezza del paziente [biotipo costituzionale dei pazienti]. Nei 52 pazienti osservati, tutti operati con acceso sternotomico, si sono verificate soltanto 3 complicanze operatorie considerate minori dall’Autore. In tutti i casi la diagnosi preoperatoria alla Tac evidenziava la presenza di Timoma ovvero di processo espansivo Timico non infiltrante. In un caso si è verificata la lesione del nervo frenico sinistro riparato con tecnica microchirurgica tramite neurorafia perineurale in prolene 8 zero ed in due casi si è complicato l’intervento con una lacerazione pleuromediastinica sinistra in entrambi i casi è bastata una rafia pleurica con catgut 3 zero. In tutti i casi non è stato necessario drenare il cavo pleurico e tutti gli interventi sono stati eseguiti ponendo un unico drenaggio mediastinico rimosso entro 24-48 ore senza complicanze ventilatorie per i pazienti. Nei tre casi complicati la lesione timica di n.d.d. aveva margini infiltrativi che macroscopicamente lasciavano deporre per una lesione Lipo- Fibrosarcomatosa piuttosto che di origine epiteliale. Tutti gli interventi sono stati eseguiti da unico operatore , la degenza media è stata di 8 giorni [ range 7-10 gg mediana 9 gg] e la durata media degli interventi è stata di 48 minuti [ range 40-60 minuti] di cui 15 impiegati per la chiusura della breccia chirurgica sternotomica a strati con fili in acciaio , poliglactil e monofilamento non riassorbibile per la Cute. Bisogna rilevare che giunse alla Osservazione dell’Autore ulteriore paziente di sesso femminile che lamentava disartria da circa tre anni associata a diplopia , disfagia ed astenia muscolare. Da sanitario specialista in medicina interna veniva richiesto esame EMG che non evidenziò alterazione dei potenziali evocati. Per tale ragione si escluse la necessità di eseguire Biopsia muscolare malgrado fondato fosse il sospetto di una Miastenia Lieve. Alla Paziente venne proposto di eseguire comunque TAC mediastinica ma ella rifiutò di eseguire tale indagine con m.d.c. e di sottoporsi eventualmente ad intervento di Timectomia. Il sanitario specialista in medicina interna a seguito di ulteriori esami reumatologici pose diagnosi di patologia all’epoca emergente definita polimialgia reumatica e prescrisse alla paziente terapia immunosoppressiva [ Prednisone – Urbason 100 mg pro die] . Dopo 10 anni di terapia medica dagli scarsi risultati la paziente decedeva per una metastasi Polmonare da rabdomiosarcoma del muscolo semitendinoso probabilmente cagionato dallo stato anergico indotto dalla prolungata terapia immunosoppressiva. Infine merita un accenno in discussione l’analisi inferenziale delle Tabelle di contingenze annesse alla presente Review. In Tab I possiamo osservare che confrontando le tecniche chirurgiche mininvasive per la Timectomia [ VATS et RAT] con la tradizionale tecnica di accesso sternotomico si rilevano le tecniche tradizionali, più cruente, gravate da un numero maggiore di complicanze che raggiungono livelli della significatività statistica . ( P Value = 0.03 non corretto et 0.04 quando corretto applicando il teorema di Yates con cui si conferisce maggior forza al test del chi quadrato Il Campione selezionato dall’Autore consta di 559 pazienti di cui 218 sottoposti a timectomie tradizionale [ 31 complicate] e 341 a timectomie mininvasive [ 29 complicate]. L’Odds Ratio [ OR] che consente col Rischio relativo [ RR] di calcolare la frequenza relativa con cui si può manifestare l’evento sfavorevole complicanza nel campione testato, ponendo i loro limiti di confidenza al 95%, risultano entrambi statisticamente Significativi . In Tab II rileviamo che quando confrontiamo lo stesso campione di pazienti selezionati dando alla tabella di contingenza non 1 ma 2 gradi di libertà ovvero scorporando le Tecniche mininvasive in Toracoscopiche e Robotiche il test del Chi quadrato non ci restituisce un P value dalla significatività statistica [ P= 0.08]. Dunque di per se le tecniche tradizionali in termini di evento sfavorevole complicanza non si presentano più rischiose e pericolose delle tecniche mininvasive. Soprattutto se si considera che il 15 % delle RAT sono state convertite in sternotomie e neanche in più agevoli toracotomie. La Tab III induce a considerare che quando si confrontano tutte le tecniche chirurgiche ammesse per la aggressione della ghiandola timica ad eccezione della toracotomia anterolaterale si rilevano in termini di complicanze differenze statisticamente significative [p Value minore di 0.05 in tabella di contingenza con 9 gradi di libertà ]. Tale tabella considera anche l’accesso mediastinoscopico con 2 team operatori ed evidenzia anche essa una prevalenza di complicanze nelle tecniche tradizionali che comunque vanno considerate più invasive. Non può essere ammessa altra chiave interpretativa di tale analisi inferenziale se non che la variabile complicanza è funzione della tecnica operatoria adottata ma anche dell’operatore che esegue la procedura il quale deve essere dotato di esperienza clinica e destrezza tecnica. Con le Tab IV et V deduciamo quanto già segnalato in risultati ossia che la remissione della patologia oggetto di trattamento od almeno il suo miglioramento clinico è funzione della radicalità chirurgica. Un risultato clinicamente più efficace [ R0 = assenza di margini di resezione con micro e\o macroinfiltrazione di patologia neoplastica : Timoma od altro …… Fibroliposarcoma ] si ottiene certamente con le tecniche tradizionali che consentono un maggiore dominio del campo operatorio e con esso il rispetto dei criteri di radicalità chirurgica soprattutto se trattasi di patologia neoplastica. A tale uopo bisogna ricordare quanto si ammette oggi universalmente, ossia che i criteri di radicalità chirurgica sono rispettati quando i margini di sezione cadono in tessuto sano concordato oltre 1 cm dal margine macroscopico delle neoplasie in generale; è fatta eccezione per neoplasie infiltranti in stadio avanzato di malattia dove vengono rispettati specifici criteri di radicalità e dove la patologia cronico degenerativa va considerata curabile ma non guaribile in ordine alla sua estensione sistemica e non loco regionale di malattia.
CONCLUSIONI
Possiamo con tale Review concludere che le tecniche videoassistite anche se eseguite da mani esperte quali devono essere quelle di un chirurgo con attitudini Microchirurgiche od almeno da un Chirurgo che abbia nel suo bagaglio tecnico formativo almeno un anno di Training Microchirurgico necessitano di una oculata codifica nelle loro indicazioni. Per il trattamento chirurgico della Miastenia Gravis certamente le tecniche Open consentendo un miglior Dominio del Campo operatorio consentono un intervento più radicale. Ottenere una buona Radicalità nell’atto ablativo chirurgico [R0] rappresenta oggi il Gold Standard per proporre tale chirurgia quale efficace soluzione terapeutica in una patologia Grave ed invalidante per il paziente anche quando essa è farmacologicamente controllata. Tra gli accessi videoassistiti, certamente nell’ottica di una evoluzione Tecnologica avanguardista [ VTA Video trial access in cui con unico Tocar di 33 mm si introducono ottica e due canali operativi ], quello mediastinoscopico rappresenta il Goal terapeutico soprattutto nei casi di associata patologia Tiroidea Autoimmune [ Gozzo Plongeant dei francesi – Morbo di Basedow etc..] In termini di utilità ed efficacia clinica certamente la Timectomia è presidio terapeutico che merita considerazione per la terapia della MG timomatosa e non timomatosa [ Autoimmune] – Sulla scorta di tali dati merita considerazione scientifica la indicazione di tale trattamento Chirurgico nella terapia di altre patologie autoimmunitarie .
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Alexander Finelli MD - PhD
Napoli 7 Aprile 2020
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Iconografia
Didascalie
Riportate nel testo
Plasmocitoma Gastrico
Fig 1
Fig 2
Lymphatic Surgery
in Rat
Fig 1
Fig 2

Timectomie
Tabelle I - V



